Archivio Giacomo Santucci

        PERUGIA del Sec. XX°

                                                                                       

Perugia, 6 ottobre 2006

PER IL COMMIATO DA GIACOMO SANTUCCI

Caro Giacomo,

non è facile accomiatarsi da te, soprattutto da parte di chi hai conosciuto dalla nascita, per essere coetaneo di tuo figlio Enzo e per aver vissuto con lui gli anni dell' infanzia e della adolescenza per il Borgo di S.Antonio (corso Bersaglieri, per l'attuale toponomastica), quel Borgo che tu tanto amavi e che hai contribuito a far amare anche alla mia generazione, perché depositario di storia, di cultura, di umanità e di antichi valori di solidarietà e di tradizioni democratiche.
Ma ti ho anche avuto alla scuola elementare "Ciabatti" come maestro della classe accanto, per trovarti di nuovo, stavolta come Direttore Didattico, quando hai voluto avermi, io allora giovane insegnante, nella scuola di Chiugiana, dove avevi iniziato quella sorta di scommessa pedagogica, come solevi definirla, del tempo pieno. Ed a Chiugiana eri solito tornare a trovarci volentieri di tanto in tanto, come hai fatto anche nel maggio scorso, per l'ultima volta.
Non voglio però ripercorrere adesso, sia pure a volo d'uccello, le tappe di quella esaltante esperienza da te pensata ed iniziata, che ancor oggi continua e che, ancor oggi, vede me tra i suoi animatori.
Mi piace però ricordare come da quegli anni ormai lontani tu sei diventato per noi quell'autorevole punto di riferimento culturale, professionale ed umano che le tue straordinarie capacità e qualità favorivano. Ed i tuoi stimoli, le tue suggestioni, i tuoi incoraggiamenti, i tuoi rimproveri, aspri ed appassionati, vere e proprie bacchettate, come quando ci davi dei "gruppettari", ci hanno permesso di crescere e di fare quelle significative esperienze che tuttora ci vedono protagonisti. Ci avevi a cuore, per questo ci invitavi continuamente alla riflessione: "Chi siamo, dove andiamo e perché ci andiamo?" era una delle tue espressioni più ricorrenti, così come ricorrenti erano i tuoi riferimenti ad Aldo Capitivi, tuo -e nostro- maestro, a don Lorenzo Milani ed alla scuola di Barbiana, al pensatore indiano Jiddu Krishnamurti.
Sul versante scolastico, la tua militanza nel Movimento di Cooperazione Educativa ci spronò alla costituzione del Gruppo Territoriale Perugino, autentica palestra pedagogico-didattica di tanti di noi, insegnanti e dirigenti scolastici: non è qui il caso di farne i nomi, ché l'elenco sarebbe troppo lungo.
Sul versante più squisitamente culturale, la tua sensibilità ed attenzione alla cultura locale e popolare, nonché al mezzo linguistico attraverso cui passava ed in parte passa tuttora -il dialetto-, hanno dato impulso alle riflessioni che conducevamo agli inizi degli Anni Ottanta ed all'esperienza dell' Associazione di Cultura Popolare e Dialettale "Il Bartoccio", di cui sei stato pure tu fondatore ed estensore del manifesto programmatico. Insieme a noi c'era anche Bruno Orsini, nostro fraterno amico e compagno, che premurosamente ti ha assistito ai tempi della tua prima grande malattia; di lui il prossimo 14 ottobre ricorre il ventennale della morte . Lo ricorderemo tra poco con l’"Antologia dei Poeti del Bartoccio" in corso di stampa, e con lui ricorderemo anche te, che figuri nel volume nella doppia veste di prefatore di due delle plaquettes che eravamo soliti regalare ai Perugini per l'anno nuovo, e di arguto autore in prosa, accanto ai poeti dialettali.
Ma anche la nuova esperienza della rivista "Risonanze", tuttora in corso, ti ha visto partecipe ed attento, prodigo sempre di consigli, quei consigli che tu facevi precedere dal solito ed affettuoso:"Da'/date retta!".   
Ho parlato del tuo amore per il Borgo, ma per una sorta di tributo affettivo per il luogo dove sono nato. Meglio avrei fatto se avessi detto del tuo amore per la Città, quella Perugia che tu conoscevi fin negli angoli e nei particolari più reconditi, come ben sa chi ti frequentava ed aveva così il privilegio di sentirti raccontare mille aneddoti e curiosità, sorrette dalla tua memoria e dalla tua erudizione fuori dal comune. Proprio lunedì sera avevo tra le mani un volume arrivatomi il giorno tra la posta: Struzzostrasse dell' amico Umberto Raponi, grafico e scrittore di vaglia. Un divertente libro del 1988 sulle vie di Perugia con le divagazioni linguistiche e creative del suo creativo Autore. A suo tempo ne ebbi da te una copia in regalo. Tua è la Prefazione, che credo ti sia stata chiesta proprio in virtù del tuo essere "cittadino di Perugia", come ti piaceva andar dicendo, prima, o forse meglio a fianco, del tuo dirti "cittadino del mondo".          
Proprio da questa mi piace riportare alcune tue parole che meglio possono far capire a tutti, semmai ce ne fosse bisogno, il tuo rapporto con la tua e nostra Perugia. "Ai ragazzi di oggi non è più consentito di percorrere in lungo e in largo la nostra città, e nemmeno i quartieri ove abitano. Talché poco o punto sanno del passato di entrambi..." Ed il rammarico per questa constatazione era grande per chi come te ha per contro cercato di favorire la diffusione della conoscenza di Perugia e della sua storia con il suo infaticabile lavoro di documentazione e di testimonianza, destinato alle future generazioni: sia attraverso i tuoi libri di Peruginerie, o di Noterelle, come le chiamavi con molta modestia, sia attraverso il tuo nutritissimo archivio fotografico privato, opera di inestimabile valore per tutta la Città e che in piccolissima, seppur significativa parte è già fruibile in rete come "Archivio Giacomo Santucci", iniziativa questa che ho proposto, della quale, insieme ad Enzo, sei stato convinto sostenitore e che si è concretizzata grazie al competente ed appassionato lavoro del comune amico Leandro Battistoni.     
Ma, per tornare alla Prefazione, la concludi giustificando il tuo esserne l'Autore così: "Noi Struzzostrasse ...1'abbiamo letto... sorretti da quella peruginitudine di cui siamo affetti che -sola- ci dà titolo a parlare e scrivere su Perugia e i Perugini. Hai parlato di peruginitudine, parola che in varie occasioni ed in diversi contesti io ho sostituito con peruginità. A ben riflettere però, devo darti ancora una volta ragione, e stavolta lo faccio volentieri: usando quel suffisso, che dal latino per il tramite del francese arriva a noi -nel senso attribuitogli in Africa da alcuni intellettuali d'area francofona nel termine negritudine-, tu volevi dare alla parola il giusto significato, intendendo cioè la coscienza che i Perugini vecchi e nuovi hanno della propria cultura, antropologicamente intesa, e di cui pochi, come te in maniera compiuta, sono consapevoli.
Ed allora, ciao Giacomo, con l'impegno di provare a continuare la tua opera nella direzione che in maniera lungimirante ci hai additato.

Ciao, con tanta gratitudine, affetto e riconoscenza!

                                                                                                                    Walter Pilini

********************************************************************************************

 

GIACOMO SANTUCCI: EDUCATORE E PROTAGONISTA

DELLA STORIA PERUGINA NEGLI ULTIMI CINQUANTA ANNI.

  Ricerca di Gabriele Goretti

Vi confesso che non è stato facile fare questa ricerca sull'esperienza professionale di Giacomo Santucci. Tantissime erano le fonti da prendere in considerazione, fonti però che mi sono diventate quasi subito particolarmente familiari, perché erano in verità le fonti di riferimento della mia esperienza professionale. Della mia e di quella di molti di voi che siete qui stasera. Quindi, se all'inizio non è stato facile mettere insieme tutti questi tasselli, poi, strada facendo, utilizzando la memoria e utilizzando anche qualche traccia che Giacomo Santucci ha lasciato in maniera molto evidente nella nostra storia perugina, sono riuscito a tirare fuori qualche cosa che adesso proporrò alla vostra attenzione, non in veste di agiografo, ma come un narratore testimone. E come tutti i narratori testimoni arricchirò il narrato con qualche forte emozione personale e anche con qualche fugace riferimento a me stesso e alla mia esperienza professionale.
Non ho dato inoltre una strutturazione organica ai molteplici contenuti della narrazione, perché voglio che questi rimangano disponibili alla "contaminazion&' dell'emotività mia e vostra e quindi più gradevoli da ricordare.
C'è qui un intenso profumo di scuola; prima ho usato un'altra parola, ma "puzza" di scuola è un termine che non si addice a Giacomo Santucci e non si addice neanche a noi, visto che, pur appartenendo alla scuola di ieri, siamo protagonisti a buon diritto anche della scuola di domani. Essa infatti dovrà tener conto di quello che è stato fatto in passato, altrimenti, come dice Santucci in qualche scritto, non c'è storia. Non ci può essere storia se non si dà valore alla memoria e noi siamo, insieme a lui, la memoria.
Si parlerà appunto della scuola perugina ma si parlerà anche della storia di Perugia, perché Giacomo Santucci è stato un protagonista della scuola perugina e della storia di Perugia. Le due storie, come vedrete, molte volte sono assolutamente univoche, anzi sono la stessa storia.
Raccontare dell'impegno professionale e politico di Giacomo Santucci significa raccontare anche dell'impegno professionale nostro che insieme a lui abbiamo lasciato qualche traccia lungo il nostro percorso, ma sempre con un autentico spirito pionieristico.
E questo è motivo di orgoglio, e, se volete, di forte consapevolezza; a volte per fare "storia" nella scuola bisogna essere anche pionieri, altrimenti si corre il rischio di essere sottoposti a "velina" e credo che Giacomo Santucci la "velina" non l'abbia mai rispettata nelle cose che ha fatto. Ha sempre agito di getto e questa sua impulsività ha dato stimolo anche a noi per fare cose che, se permettete, sono ancora molto attuali e significative rispetto alla qualità della scuola. Quella qualità che oggi si vuol realizzare anche attraverso una serie di strumenti che sinceramente non appartengono né a me né a Giacomo. Parlo della scuola-azienda, parlo di tutta quella serie di meccanicismi produttivistici che qualcuno oggi ci vuol proporre e per certi versi inculcare. Ma questo è un discorso che rimanderemo ai posteri, a quelli che forse fra cinquanta anni faranno una serata come questa.
Quale è stata la metodologia d'approccio all'opera di Santucci? Quella di presentare una testimonianza, ma anche quella di documentare la testimonianza stessa, perché Giacomo ha tantissimo materiale scritto, materiale anche Spurio, che spero possa essere prima o poi raccolto e sistemato, perché sarebbe una interessantissima antologia di storia della scuola.
Io mescolerò la testimonianza con la lettura di alcuni suoi materiali scritti, perché proprio attraverso questi riusciremo a capire meglio l'attualità del nostro personaggio.
Parleremo sì di scuola, ma parleremo anche di peruginità; la peruginità è un qualcosa che appartiene a tutti noi, anche a quelli che vengono da "fuori porta". Appartiene a tutti noi e ciascuno ne è custode geloso. Stasera rileggendo qualcosa di queste pennellate di peruginità riusciremo a capire quello che Santucci rappresenta e ha rappresentato per la nostra città Sarà una cosa tra noi; io non ho fatto una tesi di laurea su Giacomo Santucci, anche se si potrebbe fare benissimo una tesi di laurea su di lui. Ne parleremo così in maniera bonaria, familiare, tra noi, appunto, per essere coerenti con lo spirito di Santucci che è stato sempre così, potremmo dire, alla buona. Anche se qualche volta ha voluto codificare le sue cose, queste sono rimaste come se le avesse dette a "braccio", con quella voce tonante che lo contraddistingueva tra tutti.
Cominciamo con l'inquadrare la vita e l'opera di Santucci.
Io ho cercato di individuare tre stagioni, tre importanti e corpose stagioni di storia della scuola all'interno delle quali Santucci è stato assolutamente un protagonista.
Ho preso come punti forti di riferimento i tre programmi ministeriali che sono stati emanati in questi ultimi cinquant'anni. Partiremo con i programmi del quarantacinque, poi diremo di quelli del cinquantacinque e concluderemo con quelli dell'ottantacinque. Sono delle ricorrenze importanti all'interno delle quali vedremo come operava Giacomo Santucci e come operava anche qualcuno di noi.
I programmi del quarantacinque sono un po' lontani, però ho trovato in quel testo spunti interessanti, se non altro perché erano i programmi del rinnovamento e della ricostruzione che ci hanno portato fuori dall'atmosfera di guerra.
Proponevano alla scuola un obiettivo importante, quello del costume democratico, che era stato ampiamente calpestato durante il periodo fascista. Programmi che fondavano l'azione educativa sulla socialità come dominante del vivere comune (attenzione a queste parole chiave: rinnovamento, ricostruzione, costume democratico, socialità).
E' in questo periodo che Giacomo Santucci diventa maestro; infatti si diploma all'istituto magistrale Pieralli nel giugno del 1941. L'istituto Pieralli è stata la sua e la nostra scuola, era la scuola dei maestri.
Immediatamente nell'ottobre del '41 Giacomo va a fare il maestro a Monte Castello Vibio, vicino a Todi. L'anno successivo viene bandito il concorso magistrale e nel '42 lo vince.
Ritorna a Monte Castello Vibio e nel '48, dopo varie peregrinazioni come hanno fatto tutti i maestri all'inizio della carriera, viene alla scuola Ciabatti. Questo è un fatto importante. Rimane lì fino al 1958. E' il maestro di Porta Pesa.
Io intervallerò queste mie narrazioni con i suoi scritti, proprio perché questi contestualizzino solidamente le cose che sto dicendo.
Allora vediamo che cosa dice Santucci a proposito di Porta Pesa in quel tempo.
Prendo questo brano dal "Mal di Perugia"; parleremo in coda alla serata di questo suo libro dove sono stati raccolti alcuni articoletti scritti nel Corriere dell'Umbria e in Umbria Regione. E' del '93 questa pennellata di peruginità ed il titolo è: "Quando il soprannome era d'obbligo".
"A Porta Pesa erano tutti amici. Centri di riferimento Argentino trattoria economica e il Gotto a Fonte Novo. Animatori i Pilini, Pietro Goretti e Mario il benzinaio; di rinforzo, la Marietta attenta, dalla sua edicola, a quanto succedeva, e l'Evelina nel caffè per tutti."
Anche quando era ancora da venire la macchina espresso e tutto si risolveva in due grandi pentole, una per l'orzo e l'altra per il caffè d'oriente. Importante la farmacia Bindocci; vi si produceva la citrina Rogé, lassativo sicuro e fonte economica di rilievo, tanto che il figlio del titolare si poteva permettere di correre le mille miglia su un 'Alfa che tutti gli invidiavano. Vicino alla farmacia Misdea, un alimentarista fornito di tutto. Per borgo Sant'Antonio, Dalisio il falegname, celebre per il suo "tanto è ciccia pel gatto". Era accaduto che, come ogni sera, dopo essersi soffermato per la rituale minzione al vicino vespasiano, avesse lasciato sulle spalle la "zinarola" e all'aria aperta i suoi attributi. Dopo aver bevuto il classico bicchiere da Argentino e aver ritirato la carne che Pompeo, il macellaio, gli aveva lasciato per il gatto di bottega, attraversasse la piazza,  perseguito da segnali allusivi da parte della Marietta. La Marietta era pressoché analfabeta e al mattino, come si usava allora, doveva strillare i titoli dei giornali.
Tito Pilini attendeva la lettura-suggerimento. Von Ribbentrop venne in Italia per uno scambio con il governo del tempo e Pilini che ti inventa? "Rubbon troppo a Roma" e la Marietta giù a ripetere a voce alta, fin quando un gerarca la minacciò d'arresto. Dinanzi al sale e tabacchi e bar, nonché cartoleria "Cocciolino", gestito dal Moretti e dal cognato Ragni (la Laurina porta bene i suoi anni) il forno di Trottino. Durante l'inverno tutti i ragazzi lì a scaldarsi. (In casa il focolare ed anche una stufa quasi sempre spenti. Il termosifone nei palazzi nobiliari, che a Porta Pesa mancavano del tutto, e nelle scuole.)
Nel '33, il 28 ottobre, fu inaugurata la scuola che allora fu chiamata del Littorio, ma che oggi è dedicata a Primo Ciabatti, un maestro partigiano di Monteluce morto in combattimento.
Vi furono trasferite le aule maschili e femminili insediate dopo l'unità nell'ex monastero di San Tomasso ("Tommaso" era una fatica vera e propria per i perugini pronunciarlo). E Iu guerra tra i due direttori. Intervenne il ministero della pubblica istruzione e - salomonicamente - al piano superiore la direttrice e a quello inferiore il direttore. E poi c'è chi dice che a quel tempo non si scendesse a compromessi. Va pure detto che sia alle femminili che alle maschili, (allora la separazione, quando possibile per il numero degli alunni, era netta) hanno insegnato fior di maestri, uno per tutti, Federico Berardi, poeta dialettale i cui i testi ("La nostra fontena" e "La storia di Perugia") sono ancora letti con molto piacere e attenzione.
Maestro in Albania nel 1917, i suoi ricordi andrebbero pubblicati come segni di comportamento che, anche allora, hanno contrassegnato una positiva presenza degli italiani in quelle terre. Oggi a Porta Pesa sono ancora presenti i bar, i sali e tabacchi e due forni. La farmacia è stata trasferita a Santa Lucia, il palazzo ove era la trattoria d'Argentino è al centro di forti polemiche. Sta per essere demolito e ricostruito com'è.
Al tempo della commissione del pubblico ornato, appunto perché il brutto andava abbattuto, si sarebbe proceduto cercando di superare gli ostacoli frapposti dalla burocrazia
Avete sentito con quanta vivacità Giacomo ricorda fatti e personaggi che sono ancora vivi e palpabili nella nostra memoria.
Intanto siamo arrivati ai programmi del '55: sono i programmi del bambino tutta intuizione, fantasia e sentimento, della formazione integrale, della tradizione umanistica e cristiana; sono i programmi che introducono i cicli, attraverso i quali vengono rispettati i ritmi di sviluppo del bambino; i programmi che intendono l'insegnamento della dottrina cristiana come fondamento e coronamento della scuola primaria e che danno particolare valore allo studio dell'ambiente.
Nel '58 Santucci vince il concorso direttivo e presta servizio come direttore di prima nomina a Sigillo. Un suo vecchio amore Sigillo,~ infatti ci tornerà anche diversi anni dopo a fare il reggente. A Sigillo solo lui poteva andarci a fare il reggente, chiunque avrebbe detto di no.
Viene trasferito a Castiglione del Lago e poi finalmente viene al sesto circolo di Perugia, oggi secondo circolo, che comprendeva la zona della stazione e tutta quella di Perugia ovest fino a Corciano, passando ovviamente per Olmo.
E' questo il periodo più fertile e più importante della vita professionale di Giacomo Santucci. Da qui fino ai programmi del 1985 passeranno trent'anni di travaglio per la storia della scuola. Trent'anni nei quali Giacomo Santucci e altri maestri come lui hanno fatto la storia della scuola.
Tra i momenti importanti e significativi di questo periodo bisogna ricordare la sua militanza nel Movimento di Cooperazione Educativa. Questa è una dominante molto rilevante nella sua vita, dico nella vita, oltre che nella sua carriera scolastica.
Anche io ho fatto parte del Movimento di Cooperazione Educativa e, come me, tanti di voi che sono qui dentro. E credo che grazie a questa appartenenza noi siamo cresciuti "robusti", anche se è stato scomodo essere maestri all'interno di quel movimento. E Giacomo Santucci è stato per certi versi l'antesignano scomodo di tanti di noi che stavano all'interno di quell'organizzazione. Era un'organizzazione di "diversi". Oggi i programmi e il documento sull'autonomia dicono che la scuola "riconosce e valorizza la diversità". Ecco, se qualcuno ce lo avesse detto prima che i "diversi" del Movimento di Cooperazione Educativa rappresentavano un valore per la scuola, forse ci avrebbe fatto piacere. Non ce lo dissero ed in certi casi ci penalizzarono anche; tuttavia sicuramente abbiamo dato tanto alla scuola.
Io l'ho definita militanza quella di Giacomo Santucci all'interno del Movimento di Cooperazione Educativa, perché quando si parla di militanza non si intende soltanto l'appartenenza ad una associazione. Militanza significa operare dentro, significa muovere le acque, essere punto di riferimento, significa tracciare la strada per sé e per gli altri.
L'M.C.E. era un movimento che riuniva molti insegnanti i quali si rifacevano ad alcuni punti fermi di ideologia politica, ma che avevano anche una forte volontà di trasformare la scuola. Si faceva riferimento alla pedagogia, o meglio, alle tecniche didattiche di un maestro francese, Celestin Freinet, il quale, morto nel '66, aveva dato una svolta significativa al "fare scuola". Infatti abbiamo sempre parlato di tecniche didattiche, più che di una vera e propria pedagogia. Le tecniche erano quelle della stamperia in classe, del giornalino, della corrispondenza scolastica e del testo libero.
Il testo libero rappresentava una motivazione forte per fare scrivere i bambini; poi con il tempo è diventata una tecnica ampiamente abusata da molti maestri ed ha perso il suo vero significato didattico.
Anche la cooperazione in classe ebbe un notevole risalto nella scuola degli anni sessanta e settanta; la cooperazione in classe voleva dire stare insieme, operare insieme al maestro per scoprire il sapere, ma non con un maestro che insegnava soltanto, ma
soprattutto che coinvolgeva il gruppo come compagno adulto: un gruppo di lavoro veramente educativo.
Ho ritrovato alcuni libri degli Editori Riuniti, dove erano raccolti gli scritti sul
M.C.E.; erano libri che si andavano a prendere soltanto in certe librerie dove si trovavano sempre in un angolino. Il libraio non amava molto farli vedere. Erano dei libri in brossura che costavano poco, che servivano a noi maestri che non avevamo tanti soldi a disposizione. Molti di noi hanno tutta la collana, perché li c'era l'altra faccia della scuola, li si dicevano anche le cose come veramente erano.
Prendo questo brano dal libro della Tina Tomasi che ha raccontato un po' la storia della scuola degli anni del dopoguerra. E' il documento conclusivo del convegno del '57 del Movimento di Cooperazione Educativa, dove il movimento stesso viene definito come "un' iniziativa di liberi insegnanti che, considerando il rinnovamento scolastico momento importante del costume democratico, intendono valersi della libertà didattica garantita dalla costituzione, al fine di promuovere attraverso la collaborazione, estesa anche ai colleghi stranieri, l'arricchimento della loro capacità umana e professionale ed il completo sviluppo della personalità degli alunni di qualsiasi condizione sociale".
Mi è piaciuto ricordarlo perché dice in poche righe quello che io malamente ho cercato di dirvi poco fa.
Adesso vediamo come Giacomo Santucci fosse protagonista dentro il Movimento di Cooperazione Educativa. Prendo uno dei tanti libretti del Movimento che molti di noi hanno ancora dentro le proprie librerie. Sono quei libretti che si costruivano con il ciclostile e nei quali veniva riproposta la sintesi dei nostri corsi d'aggiornamento.
Il Movimento di Cooperazione Educativa è stato un punto di riferimento importante per la formazione professionale dei maestri, una formazione cooperativa che strutturavamo da noi, nell'ambito dei nostri gruppi di lavoro. Coordinatore del gruppo perugino nel 1976 era Walter Pilini, ed il libretto raccoglieva la sintesi delle nostre esperienze riferite alle "Tecniche di base e valutazione".
Eravamo in un momento di particolare travaglio interiore; a dire il vero i gruppi dell'M.C.E. avevano sempre travaglio interiore, cioè non ci si metteva mai d'accordo.
C'era un dinamismo ideologico che era veramente esemplare perché non si litigava mai, anche se si discuteva tanto. In quell'anno cogliemmo l'occasione del corso per guardarci un po' allo specchio e Giacomo ci fece la solita "romanzina", con un suo scritto che giustamente Walter Pilini pose come premessa del libretto. Dice: "In questa situazione calano nel '45 quei programmi con cui si vorrebbero introdurre nella scuola forme di democrazia. Tanto per cambiare ancora una volta dall'alto. Li leggiamo, anzi ce li fanno leggere i direttori, ce li illustrano anche e ricaviamo che in una scuola debbono entrare sic et simpliciter quelle forme di rappresentanza democratica degli adulti che con tanta fatica si stanno costruendo nel paese. La didattica delle riviste professionali conforta questa linea. Risultato: fallimento completo. Individueremo le cause dopo, ma molto dopo, sarà il Movimento di Cooperazione Educativa a farcelo scoprire. Permettetemi di ricordarvi almeno di queste due: le forme di democrazia con cui gli adulti si riconoscono e si esprimono non si addicono ai fanciulli i quali hanno bisogno di un ambiente che permetta loro di vivere i valori della democrazia. A scuola non si insegna la tolleranza, la si vive, la si realizza nel gruppo. L'altro errore è ancora più grosso: la democrazia in una scuola trasmissiva e quindi per questa sua natura autoritaria è una vera e propria contraddizione in termini ". Potrei continuare, ma basta questa pennellata per farvi capire come ricordava con accorata passione a noi maestri che lui era il nostro "maestro".
Al Movimento di Cooperazione Educativa aderirono maestri importanti che hanno fatto la storia della scuola italiana come Bruno Ciari, maestro che lavorava a Certaldo nel Senese e Mario Lodi. Bruno Ciari purtroppo mori giovane. Lodi venne due volte qui a Perugia invitato da Giacomo Santucci. Mi ricordo che facemmo il pieno giù all'aula magna dell'Istituto Vittorio Emanuele, perché tutti noi maestri un po' "diversi" avevamo bisogno di capire bene la "divergenza" di questo maestro che scriveva libri come il "Paese sbagliato", "C'e speranza se questo accade al Vho", "Ci Pi", "Il soldatino del Pim pum pam".
Mi piace ricordare anche un altro flash della vita di Giacomo Santucei. E' questo il periodo della grande amicizia e della grande collaborazione con Aldo Capitini.
Vi dirò che in questi giorni sono andato a trovarlo un paio di volte a casa e mi ha ricevuto nel suo studio bunker. Mi ha fatto piacere vedere due fotografie attaccate sul muro: quella di Don Milani e quella di Aldo Capitini. Questi sono stati dei veri maestri sia per lui che per noi.
Con Aldo Capitini Giacomo fece parte dell'Associazione per la difesa della scuola di stato. Mai come oggi potrebbe essere interessante rivedere alcune motivazioni cardine di questa associazione e anche del percorso che essa fece nella scuola perugina del tempo.
Siamo giunti a metà degli anni '70 quando l'emanazione dei Decreti Delegati rappresentò un evento importante della storia del Paese e non solo della scuola. Si cominciò a gestire democraticamente la scuola o, quanto meno, così si disse; oggi stiamo andando verso la riforma degli organi collegiali, di quegli organi per i quali venticinque anni fa molti di noi hanno veramente combattuto. E Giacomo Santucci è stato tra questi.
Allora si fecero vere e proprie campagne di sensibilizzazione che furono quasi campagne elettorali; chi andava in lista per essere eletto negli organi collegiali era schierato o di qua o di là. E qualcuno per l'occasione prese anche la tessera del partito. Noi non prendemmo la tessera, però ci impegnammo sicuramente tantissimo, facendo assemblee anche nelle fabbriche. Io mi ricordo che andai a raccontare agli operai della Perugina il significato dei Decreti Delegati e sicuramente anche Giacomo fece la sua parte.
I Decreti Delegati segnarono una tappa importante per noi e per la scuola, come ho già detto, ma ebbero significato anche per un altro momento forte dell'esperienza educativa e professionale di Giacomo Santucci: l'istituzione della scuola a tempo pieno a Chiugiana.
Perché tempo pieno e perché a Chiugiana? E che cosa ha rappresentato Chiugiana per la storia dei maestri perugini?
Tempo pieno significava una scuola diversa in cui andavano i figli degli operai. Infatti la legge 820 istitutiva della scuola a tempo pieno è del 1971; eravamo in pieno boom economico, le fabbriche occupavano gran parte dei genitori e quindi il problema della società di quel periodo era quello di tutelare i bambini nel tempo in cui i genitori non erano a casa. Venne istituita la scuola materna di Stato (nel 68/69) e la scuola del tempo pieno nel '71. Chiugiana dimostrò chiaramente, partendo da questo presupposto forte che era anche chiaramente esplicitato nel Movimento di Cooperazione Educativa, che quella era la scuola per quel territorio e per i bisogni di quella gente. In poco tempo vennero bambini anche da altre zone, e perfino da Perugia. Qualcuno disse: "Vedi, Chiugiana è diventata la scuola dei comunisti borghesi".
Io credo che questa percezione, peraltro ampiamente diffusa, possa aver fatto piacere ai maestri di allora e anche a Giacomo Santucci, ma non perché i genitori interessati erano comunisti borghesi, ma perché qualcuno aveva capito che quello poteva essere un modello di scuola che dava veramente significato e valore alla formazione integrale del bambino.
La riforma della scuola degli anni novanta ha preso molto da quel tipo di organizzazione anche se forse non ha realizzato appieno l'obiettivo che si era prefissata.
Ma questo non appartiene alla storia di Santucci, appartiene alla scuola del nostro tempo e forse potremo ancora fare qualcosa se riusciremo a prenderne veramente coscienza.
Perché la scuola a tempo pieno?
Tenete conto che Santucci forse era il direttore in quel momento più maturo dal punto di vista culturale, ideologico e professionale per aprire una scuola a tempo pieno. Aveva contatti molto intensi con la scuola bolognese, con l'assessore Tarozzi che, pur essendo un politico, veniva citato nei libri come uno dei fautori convinti della scuola a tempo pieno.
Siamo alla fine degli anni '60, già prima della legge 820. Santucci conosceva Tarozzi, aveva collaborato con lui e quindi aveva una cultura pedagogica adeguata per poter istituire una scuola a tempo pieno. Tenete conto che la scuola di Chiugiana è stata citata ampiamente nei libri di storia della scuola insieme con quella di Spilamberto, di Reggio Emilia, di Modena, del Niccone.
Io credo che sia importante ricordarlo, non solo perché Santucci ha dato stimoli e motivazioni per realizzarla, ma perché a Chiugiana si sono formati tanti maestri che anche stasera sono presenti e ancora lavorano in quella scuola.
Voglio citare quello che Bruno Ciari disse, a conclusione di un convegno nel '68, proprio sulla scuola a tempo pieno: "Una scuola capace di superare l'aritmetica addizione di due termini quali quelli di scuola del mattino e dopo-scuola integrativo e facoltativo del pomeriggio. Vogliamo una scuola diversa, nuova, veramente uguale per tutti, per gli stimoli, gli strumenti di cultura, le possibilità di esperienza che vengono offerte. Senza una scuola di questo tipo non c'è sviluppo democratico, né sviluppo scientifico, tecnologico ed economico". Potreste dire che Ciari era di parte? Ma Ciari ha fatto la storia della scuola come l'ha fatta Giacomo Santucci, e quindi ritengo che entrambi debbano essere considerati punti di riferimento importanti a prescindere dalle loro idee politiche.
Quando si parla di scuola a tempo pieno non si può fare a meno di parlare di Don Milani. Fu il primo che fece una scuola a tempo pieno veramente divergente e unica nel suo genere.
Ho riletto "La lettera a una professoressa". Dice Don Milani ai suoi ragazzi: "Sapete bene che per fare tutto il programma a tutti non bastano le due ore al giorno della scuola attuale. Finora avete risolto il problema da classisti. Ai poveri fate ripetere l'anno. Alla piccola borghesia fate ripetizioni. Per la classe più alta non importa, tutto è ripetizione. Pierino quello che insegnate lo ha già sentito a casa. Il doposcuola è una soluzione più giusta. Il ragazzo ripete ma non perde l'anno, non spende e voi gli siete accanto uniti nella colpa e nella pena. Buttiamo giù la maschera.
Finché la vostra scuola resta classista e caccia i poveri, l'unica forma di anticlassismo serio è un doposcuola che caccia i ricchi Chi non si scandalizza delle bocciature né delle ripetizioni e qui avesse qualcosa da ridere non è onesto. Pierino non è nato di razza diversa. Lo è diventato per l'ambiente in cui vive dopo la scuola. Il doposcuola deve creare quell'ambiente anche per gli altri (ma di una cultura diversa). Ora le cose stanno trasformandosi. La popolazione scolastica cresce anche malgrado le vostre bocciature. Con una massa di poveri che preme e che ha bisogno di cose elementari, non potrete spingere il programma per Pierino. Tanto più se farete la scuola a tempo pieno. I ragazzi dei poveri vi rifaranno nuovi voi e i programmi. Conoscere i ragazzi dei poveri e amare la politica è tutt'uno. Non si può amare creature segnate da leggi ingiuste e non volere leggi migliori".
Ecco questi erano i presupposti ideologici che hanno ispirato l'istituzione della scuola a tempo pieno a Chiugiana.
Abbiamo capito perché il tempo pieno; adesso cerchiamo di capire perché a Chiugiana. Dicevamo prima che il sesto circolo arrivava fmo a Corciano, un comune che venticinque anni fa aveva un territorio più limitato di quello che è oggi. Però aveva questa sua appendice di ispirazione industriale proprio verso Ellera e Chiugiana. A Chiugiana c'era la scuola e Giacomo Santucci colse l'occasione per favorire una sistemazione adeguata per i bambini degli operai dell'Ellesse, della Igi, della Tatri, cioè di tutte quelle fabbriche che stavano intorno alla scuola. L'amministrazione comunale gli dette ragione perché fu d'accordo con lui nell'offrire i servizi e quindi si istituì questa scuola a tempo pieno.
Fu un vero e proprio laboratorio pedagogico. Si sono infatti succeduti in quella scuola tanti maestri; alcuni ancora stanno lì e molti sono diventati direttori didattici e hanno portato in giro, in altri circoli, in altre scuole, lo stile pedagogico-didattico della scuola di Chiugiana. Parlo di Walter Pilini, di Peppe Martini, della Rita Nocentini, dell'Antonella Ubaldi, dell'Anna Parlani, della Bebe Gasperoni, di Paolo Serafmi, della Loredana Mondellini e di tanti altri. Ricordo questi perché molti sono miei colleghi, altri sono carissimi amici.
In quella scuola si è fatta veramente cultura magistrale. In particolare in alcuni settori forti della pedagogia d'avanguardia. L'integrazione degli alunni in situazione di handicap, ad esempio, è stata un po' la dominante che ancora oggi caratterizza la scuola di Chiugiana, ma non perché sia una scuola a tempo pieno, ma perché è una scuola che offre attraverso un tempo più lungo occasioni di autentica tutela per i bambini, in particolare per quelli in difficoltà.
E' di questo periodo anche la collaborazione di Santucci con Don Dario Pasquini Preside della scuola di Olmo.
Vediamone l'aspetto significativo dal punto di vista della promozione sociale e culturale. Questi due personaggi, uno per un verso e uno per l'altro, esplicitarono per la gente e per i ragazzi di quella zona punti di riferimento veramente importanti.
Ricorro di nuovo ad uno scritto di Giacomo: in una delle sue noterelle del libro "Mal di Perugia" scritta nel 1998 parla appunto di Don Dario Pasquini.
Dice Giacomo: "Tanti anni fa, (ottobre '63) Collegio popolare di Olmo: un presidio di avviamento professionale, poi scuola media e un direttore di una scuola elementare (chi scrive) che ha sede nello stesso collegio. Entrambi su sponde opposte, sarà, dicevano, uno scontro continuo. Invece, senza alcun compromesso fu subito piena intesa e non poteva essere altrimenti; con i bambini e i ragazzi non possono esserci gli steccati.
Cosa fossero i ragazzi per Don Dario lo si poteva riscontrare ogni mattina: là in mezzo al piazzale in attesa dell'arrivo dei suoi "postali" (se li era fatti regalare dal presidente della Fiat Valletta). Quindi uno ad uno una domanda. Gli bastava per sapere tutto: dalla salute al lavoro dei familiari, alle recenti birichinate dei suoi birboni. E da ogni risposta sapeva ricavare il positivo. Negli anni '60 ad Olmo si era in pieno sviluppo. La legge sulla montagna aveva favorito il vicino comune di Corciano e nella sua parte pianeggiante iniziavano gli insediamenti industriali. A quel tempo chi era nato contadino, contadino doveva restare. E che ti inventa Don Dario? Al termine dell'avviamento ti iscrive i promossi nel suo stato di famiglia il che permetteva l'ingresso in fabbrica.
La società stava cambiando, l'esodo dalle campagne era appena iniziato (all'estero non occorreva il libretto del lavoro; in Italia la norma restrittiva sarà voluta dalla stessa Confindustria). Don Dario non ragionava con risultati di inchieste; tuttavia nella formazione dei suoi giovani la sua intuizione era così viva e penetrante da trovare sempre precise elaborazioni; premeva la formazione di uomini-cittadini innanzi tutto. L'italiano, l'aritmetica il suo francese e scienze venivano dopo. Cosi fino al 1971 anno del suo collocamento a riposo, in tanti vennero per rendersi conto delle finalità dei contenuti del collegio di Olmo, a cominciare da Indro Montanelli, ma pochi seppero penetrare nell'esperienza che vi si conduceva come Pietro Conti. Don Dario e il primo presidente della giunta regionale dell'Umbria avevano una stessa origine, gente di popolo che come tale sapeva quotidianamente comportarsi.
Oggi il collegio non c è più. Nei suoi locali vi sono scuole di ogni ordine e grado, vi resta però la prima realizzazione di Don Dario la materna privata "Camilla Fama". Tutto sembra funzionare bene; secondo programmazione, si sarebbe tentati di scrivere. Sarà. Dinanzi ad una società sempre più individualista, ci si contenta di ripetere con Don Dario che è compito della scuola formare ciò per cui la vita vale la pena di essere vissuta. Un valore che permette di scoprire sé e gli altri. Quanto, cioè, è da conquistare da parte di tutti se si vuole una società libera e giusta, per la quale ha operato, in prima fila, anche Don Dario".
Siamo arrivati ai programmi dell' 85. Sono i programmi che forse Giacomo Santucci ha appena "annusato", ma che in più occasioni sono stati da lui aspramente criticati perché avevano dato origine alla così detta scuola della "programmazione". Era solito dire, infatti, a molti di noi che avevano colto l'occasione per fare sperimentazione già prima della L.148 di riforma della scuola elementare: "Attenzione voi siete i programmatori, sapete di scuola americana, ricordatevi però che potreste perdere di vista le finalità nobili della scuola. Quella reale, quella del bambino che impara attivamente e del maestro che scopre ed inventa con lui".   
Adesso non mi soffermerò a parlarvi dei programmi dell'85, perché sono i programmi di oggi; sono i programmi della pluralità dei docenti, dei tre maestri in due classi, della lingua straniera ormai acquisita come valore importante e qualificante della scuola, dell'allungamento del tempo scolastico.
Giacomo nel 1988 va in pensione e ci va prima che la legge 148 del '90 porti alla riforma reale della scuola elementare.
Si conclude così in questa terza stagione la sua lunga carriera scolastica: una carriera che era iniziata nell'immediato dopoguerra e che, alle soglie degli anni duemila, propone ancora spunti per una scuola proiettata verso il terzo millennio.
Parliamo adesso brevemente di Santucci e della scuola Santa Croce.
La scuola montessoriana Santa Croce ha avuto Santucci come presidente del Consiglio di Amministrazione dall'86 al '99. Un tempo lunghissimo. Io sono certo che in quella istituzione si ricorderà a lungo la gestione di Santucci e la sua "viscerale" ammirazione per la scuola montessoriana. Nel suo circolo e anche altrove ha istituito molte scuole montessoriane. Qualcuno di noi direttori non era poi così entusiasta di questa concorrenza, però Santucci ci ricordava sempre che il metodo Montessori è un metodo che rispetta il bambino, è il metodo che ha una solida validità scientifica, è un metodo all'interno del quale si evidenzia in maniera molto forte la professionalità dell' insegnante. Metteva in evidenza sempre questi tre aspetti qualificanti: il metodo scientifico, il rispetto del bambino e una professionalità forte.
Ricordiamoci anche che Santucci conobbe personalmente Maria Montessori, quando nel '50, frequentando due corsi montessoriani presso la scuola Santa Croce incontrò la Dottoressa e sicuramente rimase colpito anche dal suo fascino. Dicono infatti che fosse una bella donna e Giacomo era molto sensibile al fascino femminile, lo sappiamo.
Altro flash: Santucci è stato amministratore del comune di Perugia dal '70 al '75, poi consigliere comunale fino al 1980; è stato assessore alle politiche scolastiche e culturali nella legislatura in cui era sindaco Caraffini. Era stato eletto nelle liste del partito comunista, e fece l'assessore con tutta la sua visceralità ideologica e politica, ma anche con tutte le sue straordinarie risorse di uomo di scuola.
Pensate che, durante il suo assessorato, furono aperte 100 scuole materne nel comune di Perugia. Sono cifre che vale la pena ricordare. Ne istituì anche 5 comunali che poi sono passate allo Stato. Quindi una forte attenzione alla tutela del bambino dai 3 ai 6 anni in una  scuola  materna che  proveniva da una  impostazione  prevalentemente assistenzialistica. La legge 444 del '68 infatti creava scuole per l'infanzia a tutela di quei bambini le cui madri erano impegnate nelle fabbriche e nel mondo del lavoro. Giacomo cercò di fare capire alle maestre della scuola materna che questa era tale anche per i bambini dai 3 ai 6 anni. Mi fa piacere che lo dicesse già negli anni '70, perché oggi hanno dovuto scrivere parecchi documenti anche in sede ministeriale per riconoscere la scuola materna come vera scuola. Proprio l'altra sera un gruppo di giovani maestri stava vedendo insieme a me un documento del febbraio '99 "Linee di sviluppo della scuola dell'infanzia", dove il Ministro riconosce la scuola dell'infanzia come scuola e come scuola di qualità. Giacomo Santucci lo diceva già agli inizi degli anni '70.
Chi di voi sta a Perugia sa bene che importanza abbia il teatro Morlacchi per la vita culturale della nostra città. Il teatro Morlacchi, alla fine degli anni settanta, era piuttosto giù di tono; si organizzavano stagioni non certo esaltanti; ebbene, durante il quinquennio del suo assessorato, il teatro Morlacchi rientrò nel giro delle compagnie più importanti del tempo, grazie alla collaborazione che Santucci volle instaurare con l'E.T.I., l'Ente Teatrale Italiano.
A proposito di questa sua esperienza amministrativa c'è da dire che Giacomo non è stato certamente un personaggio comodo, anche all'interno del suo partito. Credo però che sia assolutamente doveroso riconoscergli un forte ideale di democrazia, di libertà, di indipendenza culturale, di rettitudine morale, di tutela dei diritti degli altri e dei valori universali; e credo che questi ideali non appartengano alla ideologia di un partito: essi sono patrimonio della società intera. In effetti si potrebbe concludere con il dire che Santucci non ha fatto una lunghissima carriera politica, ma ritengo che questo sia un suo grande merito, perché chi si è invecchiato dentro la politica oggi forse dimostra tutto il peso degli anni: Giacomo da questo punto di vista è rimasto un autentico "sempreverde".
L'ultimo flash è Santucci scrittore. Voglio citare a proposito quel libro da cui ho letto alcuni brani: "Mal di Perugia". Il libro venne presentato ufficialmente alcuni mesi fa alla Sala Dei Notari, davanti ad una foltissima ed attenta platea.
Dice il curatore del libro Luigi Reale: note di storia e di costume, interventi nel tessuto della cronaca, ricordi di protagonisti a vario titolo di quella vita cittadina nella cui orbita gravita la biografia dell'estensore, formano questo libro, costituendone insieme una tessera ulteriore al mosaico della memoria collettiva, contributo alla riflessione sui fatti declinati non secondo il paradigma delle sistemazioni storiografiche, ma secondo quello delle narrazioni cronistoriche, diaristiche in prima persona. Una storia confidenziale di Perugia tra '800 e '900 dunque fino agli anni '50. Per episodi salienti narrati per il gusto delle cose viste e sentite tramandate di bocca in bocca. E tutto questo non per apologia di quartiere, ma per riscatto di quella memoria dentro le mura che risulta sempre più necessaria alle nuove generazioni per non perdere il contatto senza enfasi, né l'esaltazione con l'identità dei genitori".
E mi piace concludere con la dedica che Giacomo fa nel libro alla nepote Maria. E' stata letta quella sera alla Sala Dei Notari, però mi piace ricordarla anche qui perché è un "memento" per tutti noi, oltre che per la nepote. Dice Giacomo: "A Maria e ai suoi coetanei, perché in ogni loro impegno tengano ben presente che non si opera senza memoria del tempo passato, prossimo e remoto".
Altra cosa scritta da Santucci è un prezioso libretto che ha per titolo "La Montesca, un'esperienza educativa". Giacomo è un attento osservatore ed un grande estimatore della scuola della Montesca; un'esperienza in verità poco conosciuta anche tra noi maestri. Siamo agli inizi del '900, e, dice Giacomo proprio nell'introduzione: "... Alla Montesca c'era una scuola di autentico rinnovamento didattico, non per cittadini pronti per affermare la loro capacità in altri settori, ma per coltivatori diretti, mezzadri, braccianti, contadini destinati a rimanere non incolti, ma forniti degli strumenti per perfezionare, da un lato il loro impegno nei campi per una agricoltura d'avanguardia, e dall' altro per partecipare all'amministrazione della gestione della proprietà ed anche della vita sociale .  
Fu una scuola fondata da Leopoldo Franchetti e dalla consorte Alice, per i figli dei contadini dei loro 48 poderi.
Vi assicuro che a leggere le cronache riportate nel libro e le composizioni dei bambini di quella scuola si prova una grande emozione perché emerge chiarissima l'immagine di una esperienza educativa di grande qualità e soprattutto di fresca attualità. Vi leggo soltanto queste quattro righe. Sono i bambini che scrivono alla Contessa, il 12 aprile del 1911 a Rovigliano: "Gentilissima signora, signora baronessa, siamo quasi giunti alla festa della Pasqua e noi tutti gli inviamo di cuore i nostri auguri più belli. In questi giorni abbiamo molto parlato dei fatti di scuola che riguardano la vita di Gesù e siamo stati anche un po' migliori per essere più degni della festa che si avvicina. Oggi è stata una festa per tutti, la ricerca delle uova colorate. Grazie buona signora, anche lontana, per pensare a noi, ma anche noi la ricordiamo tanto tanto, grazie anche delle belle cartoline che ci ha inviato. Oggi abbiamo cominciato lo studio del Gelso che faremo con attenzione. Tanti cari saluti dai devotissimi bambini della terza classe di Rovigliano
Giacomo è andato a rivisitare tutte queste belle cose che, messe una in fila all' altra, ci danno lo spaccato di una scuola tuttora viva e vivace.
Concludo con uno scritto che Giacomo Santucci propose nel 1993 alla Conferenza Regionale della Scuola organizzata dalla Regione dell'Umbria alla Pro Civitate Christiana di Assisi: "Da tempo la scuola non sa dove va, vive non di slanci ideali, di mete da perseguire, di una attenta ricognizione del chi siamo, del dove andiamo, perché ci andiamo. Un corpo le cui anchilosate articolazioni sono mosse da provvedimenti burocratici privi di volontà propria. Non c'è rinnovamento nelle scuole se non e e nella società, non dimentichiamocelo mai. La scuola integrata si realizza solo in una società aperta dove il potere, afferma Capitini, è di tutti e non solo sul piano della elezione e del controllo delle rappresentanze, ma anche e prioritariamente su quello della partecipazione. Sotto questo rispetto per noi partecipare significa essere presenti ed attivi nella vita della società come lo furono nel Medioevo coloro che fecero grandi i nostri comuni. Il laico Luigi Bonazzi, nella sua Storia di Perugia, ricorda che l'armonia dell'ordinamento della vita di città scaturì anche da un rapporto dialettico con i
costruttori delle nuove fabbriche, quali il Palazzo dei Priori, con i quali si discusse sugli stessi senza peraltro impacciare il genio degli artisti.
Per realizzare una totale partecipazione sia nelle scelte che nelle applicazioni necessita che allo stato spetti emanare norme generali, ed alle regioni e agli altri enti locali il loro adattamento alle diverse situazioni, solo così si può uscire dalla crisi.
E' la riscoperta della politica nel senso più nobile del termine che può permettere anche alla scuola di uscire dall' improvvisazione e dalle pseudo-riforme".
Mai parole più sagge furono pronunciate: parole sagge tuttora valide e attuali. Grazie Giacomo.

Gabriele Goretti

 HOME PAGE