SOMMARIO                           

Tradizione è anche tradimento

La tradizione è viva se sta cambiando

Intervista a Pier Giuseppe Arcangeli

LA RIPRESA DELL’INTERESSE PER LA MUSICA DI TRADIZIONE POPOLARE È TESTIMONIATA
DAL SEMINARIO DI MONTE MALBE COME ANCHE DALL’ATTIVITÀ DI RICERCA E
RIPROPOSTA DI UN GRUPPO COME SONIDUMBRA, CHE PORTA CON SUCCESSO NELLE
PIAZZE E NEI CONCERTI UNA INTERPRETAZIONE VIVA, AGGIORNATA E INSIEME "FEDELE",
DELLE FORME MUSICALI POPOLARI. SU QUESTO LAVORO FACCIAMO ALCUNE RIFLESSIONI
DI METODO CON PIER GIUSEPPE ARCANGELI, ETNOMUSICOLOGO, DOCENTE AL
CONSERVATORIO "BRICCIALDI" DI TERNI. COMINCIAMO DAL TEMA DEL "RECUPERO" DEL
CANTO POPOLARE.

Ecco, è bene chiarirci su questi aspetti, non per scoraggiare chi lavora su questi temi ma per rendere tale lavoro
più interessante e pertinente: dal mio punto di vista di etnomusicologo, non c’è nessuna cultura popolare da
recuperare; ammesso che ci fosse, non sarebbe da recuperare, e comunque non c’è. Che cosa si intende per
cultura popolare? La cultura del popolo; ma che cosa si intende per popolo? Il termine "popolo" è molto
equivoco, e può generare molti equivoci. Già Bartok, negli anni trenta del secolo scorso, ci teneva a dire: "Io mi
occupo dei canti dei contadini, o dei pastori, o degli zingari, …": e io credo che bisogna parlare della classe
sociale, di canti di classi popolari che sono molto diverse tra di loro e che hanno anche tradizioni diverse.

Oggi che cos’è popolare?

E’ difficile dirlo: forse Pippo Baudo? O Mike Bongiorno? E per la musica, Sanremo? Forse: siccome il concetto
di classi sociali può essere oggi "aggiornato" e sostituito dal termine "mercato", "nicchie di mercato", per noi
popolare può essere una cosa, per i nostri figli probabilmente è un’altra. Esiste peraltro il termine inglese pop, per
cui per loro l’immagine del popolare è la pop music. Visto come è stato usato per decenni, in maniera
indiscriminata, e in certi casi strumentale, il termine popolare, io consiglio di non usarlo.

E quale è il termine più appropriato?

Esistono altri termini; per la musica, ad esempio, possiamo dire "canti e musica di tradizione orale"; ma anche
dire tradizione orale non è sufficiente, perché molta musica colta, musica d’arte, nella tradizione occidentale,
è stata di tradizione orale. Anche oggi che possiamo registrare la musica, la tradizione orale è caratterizzata dalla
estrema mobilità, dal continuo variare dell’esecuzione. Gli interpreti nella tradizione orale intervengono, si tratta di
musica "loro"; ed il paradosso della tradizione orale è che, se non cambiasse, sarebbe morta. Se è viva, è perché
sta cambiando; nel momento in cui smette di cambiare, non c’è più. Nelle nostre ricerche, quello che abbiamo
registrato è quello che una signora o un signore ha cantato negli anni Cinquanta o Sessanta, dopodiché oggi non
c’è più.

Dunque non si può recuperare?

È così: se recuperare vuol dire render viva una cosa abbandonata, quest’operazione è certo legittima, ma è
un’altra cosa. E’ implicito nel verbo tradere, consegnare, da cui viene tradizione ma anche tradimento: consegno
l’amico al nemico; ma tra tradizione e tradimento non c’è una grossa differenza; se io in qualche modo voglio
tramandare, devo in qualche modo tradire. E visto che noi che ci occupiamo di queste cose siamo più o meno
 traditori, sgombriamo il campo una volta per tutte dalla "fedeltà alla tradizione", dal "recupero". I tradizionalisti
sono una sorta di custodi di un sepolcro vuoto: perché un tradizionalista che fosse tale e ci tenesse a mantenere
la tradizione, dovrebbe essere il primo a operare per cambiarla. E chi vuole cambiare le cose, e fare una musica
viva, deve necessariamente fare i conti con la tradizione, perché se non conosce la tradizione è semplicemente un
ignorante, e forse poi è l’unico che riesce ad avere un rapporto autentico con la tradizione stessa.