SOMMARIO

         Ebrei a Perugia                  

 

Tra Risorgimento e leggi razziali

Intervista a Luciana Brunelli

 

La storia di una piccola comunità, quella degli Ebrei perugini, viene studiata per capire come
si sia potuti passare dall’integrazione alla perdita della cittadinanza: su questo si svolge
l’attività di ricerca di Luciana Brunelli, che, pur inquadrando la situazione perugina negli
sviluppi della politica nazionale, utilizza la storia locale come un osservatorio anche per
valutare quanto le dinamiche nazionali sono poi passate nel concreto delle specifiche realtà
locali. E per meglio affrontare questo tema, Brunelli sta andando a ritroso, ricostruendo la
storia della presenza degli Ebrei a Perugia a partire dall’epoca risorgimentale.

Il numero degli Ebrei perugini, e anche il livello di integrazione, probabilmente hanno avuto la
massima espansione negli anni dopo l’Unità. Il censimento pontificio fatto nel ’60 dà tre famiglie
a Perugia; il censimento del ’61 dà sessantanove persone in Umbria; nel ’71 sono raddoppiati,
sono 127 persone; lo sviluppo maggiore c’è col censimento del 1901, quando sono 186, e poi
comincia il declino, e nel ’31 sono 112 persone in Umbria. A Perugia, da 63 nel ’71 diventano
103 nel 1901, e poi diminuiscono. Questa diminuzione è dovuta a diversi fattori: certamente
anche al fatto che lo sviluppo locale era troppo debole, e il passaggio dal commercio – che era
l’attività prevalente dei padri – alle professioni implica anche uno spostamento.
Nei decenni post-unitari, il rapporto con Perugia è un rapporto molto stretto anche come
partecipazione al momento istituzionale: intanto, in consiglio comunale nel ’63 c’è Servadio
Servadio, poi ci saranno Vitale Ajò, Paris Servadio, Salmoni Ciro che diventa anche assessore,
Arnaldo Coen.

Però non erano connotati come Ebrei, ma piuttosto come esponenti della borghesia locale.

No, come sezione ebraica (sezione della Comunità di Roma) si costituiscono nel ’32; quindi
avevano una sinagoga, probabilmente a palazzo Ajò, però non era una comunità rilevante dal
punto di vista religioso. E’ vero che di questo periodo, dai documenti che sto vedendo, è la
costituzione del cimitero ebraico: cioè l’aumento della popolazione nel decennio post-unitario
rende insufficiente il cimitero di via San Girolamo e porta, nel ’74, alla richiesta di avere un
luogo nel Cimitero civico: e viene ufficialmente consegnato nell’83.
Questo ha anche un valore simbolico: il valore di identità, di una comunità che si ritrova e di una
comunità che rivendica la sua appartenenza alla comunità cittadina. In quegli anni c’è la
ristrutturazione del cimitero fatta da Arienti, e in questo quadro c’è l’assegnazione agli Ebrei
di un lotto accanto al monumento al XX Giugno. E’ una notazione importante: intanto perché
dimostra l’aumento della popolazione di religione israelita, e poi perché è una espressione di
soggettività per una piena cittadinanza. Al Risorgimento perugino non risulta che abbiano
partecipato Ebrei: delle tre famiglie perugine di prima del ’60 c’erano gli Ajò e i Servadio,
perché hanno le tombe nel vecchio cimitero; i Servadio aprono il negozio nel ’48, e nel ’59 tra i
negozi distrutti dalle truppe pontificie nel corso cittadino è citato anche il negozio di Servadio.
Però è interessante che il legame con il patriottismo perugino, e la stretta partecipazione alla
Massoneria locale, si mostra dopo, perché nelle sottoscrizioni contro i clericali, in un indirizzo
a Vittorio Emanuele Secondo liberatore d’Italia, in varie occasioni, ci sono moltissime firme di
Ebrei perugini. Quindi tra la partecipazione alle istituzioni comunali e la partecipazione a iniziative
patriottiche e anticlericali, come il Comitato per il monumento al XX Giugno, si può vedere una
 integrazione non soltanto di tipo socio-economico, ma anche di tipo politico, istituzionale,
culturale. Invece non ci furono legami col fascismo, sul piano politico (non risultano cariche
politiche). Gli Ebrei esprimevano un ceto benestante cittadino, erano parte del notabilato locale;
e sviluppano tra Otto e Novecento anche attività industriali significative, e nelle professioni hanno
delle posizioni molto in vista.

Che cosa è successo in una comunità come questa al momento delle leggi razziali?

Di questo do una lettura generazionale, distinguendo tra la generazione degli Ebrei che hanno
avuto un ruolo importante nella città, che quindi hanno guardato il fascismo con distacco perché
avevano formato la loro identità nell’Italia liberale; o alcuni anche erano legati al sionismo; questa
vecchia generazione in genere non prende la tessera fascista. Mentre la generazione adulta - che
ha partecipato alla Grande guerra, ed è poi cresciuta nelle istituzioni fasciste - è stata quella più
colpita: si è sentita tradita; ed anche dalla documentazione delle carte di polizia si scopre uno
sbandamento, una incomprensione. Sicuramente gli stretti legami con la comunità locale hanno
inciso anche su questo, perché da una parte significavano un aiuto, ma dall’altra parte era ancor
più sentita la perdita di cittadinanza. In particolare quelli che andavano a scuola e l’hanno dovuta
abbandonare, o la perdita del posto di lavoro: è una cosa che ha segnato in modo irreparabile la
loro vita; questo per gli anziani non c’è stato, la loro vita l’avevano vissuta.
Una cosa importante è che da alcuni anni lo studio non è più solo lo studio della persecuzione
fascista e poi nazista contro gli Ebrei, ma anche lo studio del mondo ebraico sia nel periodo di
integrazione sia nel periodo della persecuzione. Certo, la parte più drammatica è ancora tutta da
studiare: ad esempio quella relativa ai bambini; i bambini sicuramente hanno vissuto delle cose
con effetti nella loro vita ancora tutti da verificare. E per un gruppo esiguo come quello perugino,
che poi si è tutto disperso, una parte si è convertito, una parte se ne è andato, è difficile avere
il polso di questa cosa.

Vorrei chiederti se è possibile ricostruire come ha reagito il contesto cittadino.

Fra le carte si vede che c’è stata sicuramente una solidarietà, da parte di singoli, ad esempio di
medici: le carte sono piene di certificati medici che dicono che una persona non poteva essere
arrestata perché aveva bisogno di cure ecc.; oppure il conte Zopiro Montesperelli che compra la
radio di Dessau, un professore di fisica all’università cui avevano sequestrato la radio: è evidente
che il conte non aveva nessun bisogno della radio. Come si vedono anche comportamenti di
delazione: il tizio ha nascosto i mobili nell’appartamento del vicino; ci sono anche delle denunce,
che talvolta portano all’arresto, nel momento in cui scatta l’occupazione tedesca, nel novembre
1943, e gli Ebrei devono nascondersi per evitare l’arresto e l’internamento. Perciò questo è un
punto importante di riflessione: che cos’è l’antisemitismo? Quali sono gli stereotipi? Come
comincia? E dove porta? E’ da studiare, perché le forme in cui si manifesta muovono sempre da
stereotipi, ma sono diversificate, e anche l’indifferenza gioca a favore dell’antisemitismo. Certo,
dicono gli Ebrei, per ognuno di noi che si è salvato c’è stato un Italiano che lo ha protetto ed
aiutato; però la non protesta sul piano cruciale, quando sono stati presi i provvedimenti, non ha
costituito un argine rispetto alla persecuzione. All’interno del partito fascista o nella cultura
perugina non ho trovato nessun cenno di dubbio; anzi, a Perugia era rettore dell’Università Paolo
Orano, che qualche anno prima aveva pubblicato Gli Ebrei in Italia, un volume che aveva
segnato l’inizio della campagna antisemita. Ecco il punto: anche la memoria, quanto è stato detto
o ricostruito, parte dal ’43, cioè il momento in cui si cominciano a salvare gli Ebrei dalla
deportazione. Ecco, c’è qualche memoria su Assisi, oppure don Remo Bistoni su Porta
S. Susanna, don Vincenti, a Gubbio il vescovo Ubaldi… Però è molto significativo che fare i
conti con la propria storia è difficile: farli dal ’43, quando sono iniziati i salvataggi, è una cosa,
farli col periodo precedente è un’altra cosa. Tra l’altro, affrontare la questione solo dal ’43,
significa anche attribuire ai Tedeschi la gran parte della responsabilità, e quindi gli Italiani brava
gente ne uscivano comunque riscattati. Questo serve anche a illuminare oggi il problema del
razzismo, anche rispetto alle altre minoranze; occorre avere la coscienza che ad Auschwitz ci si
è arrivati cominciando così: classificando gli individui, dichiarandoli diversi, isolandoli in modo
che gli altri si scordano che esistono, si abituano a vivere senza di loro, togliendogli tutto,
umiliandoli; e poi segue tutto il resto.

In una città come Perugia, come potevano sparire persone così in vista nella vita sociale?

Spariscono. Dal ’38 al ’43 spariscono perché li isolano: non ci sono più i loro nomi sui giornali;
non ci sono più i manifesti da morto… Un gruppo di persone è stato messo fuori dalla vita civile,
 e poi viene dimenticato; certo, la situazione perugina significa avere dei rapporti, e poi, quando
scatta la persecuzione delle vite, dei posti dove nascondersi. Per esempio la figlia di Salmoni è
stata per mesi chiusa in una stanza, presso amici perugini. Però la cosa importante secondo me
non è guardare la fase finale, ma capire quando e come si mette in moto il meccanismo della
espulsione dal contesto sociale.

 

Letture consigliate:

Gli Ebrei in Italia tra persecuzione fascista e reintegrazione post-bellica, a cura di Ilaria Pavan
e Guri Schwarz, Giuntina ed.

Bruno Segre, Gli Ebrei in Italia, Giuntina ed.