SOMMARIO

      Vivere in Israele                       

 

Intervista a Gustavo Reichenbach

 

Incontro il professor Gustavo Reichenbach nel suo studio all’Università.
E’ tornato da poco da un viaggio in Israele, e sul tavolo ha già pronti documenti, libri, ritagli
di giornale; prima di avviare la conversazione, chiede di fare una piccola introduzione di tipo
storico.

Secondo un’indagine fatta dall’Isco e pubblicata dal Corriere della Sera il 13 aprile 2002, risulta
che nella popolazione italiana c’è una certa ignoranza sul conflitto israelo-arabo-palestinese, per
cui è bene ricordare alcuni fatti storici. Dopo la prima guerra mondiale, l’Impero turco fu dissolto
e una regione, chiamata Palestina, che si estendeva al di qua e al di là del fiume Giordano, fu data
in mandato all’Inghilterra. Nel 1922, l’Inghilterra staccò la parte della Palestina al di là del
Giordano creando un nuovo stato col nome di Transgiordania. Nel 1948, l’Onu decise di dividere
la restante Palestina in tre zone: una agli Ebrei, una agli Arabi, e una zona internazionale per
Gerusalemme. Gli Ebrei accettarono la spartizione e crearono lo Stato di Israele, gli Arabi no,
e inviarono quattro corpi di spedizione per cacciare gli Ebrei. Questi quattro corpi di spedizione
non erano molto numerosi, ma erano ben armati ed organizzati, a differenza degli Ebrei che hanno
vinto perché per loro era l’ultima spiaggia, non potevano perdere. Con le guerre, gli Ebrei estesero
il territorio dello Stato, mentre parte della Palestina e Gerusalemme venivano occupate dalla
Transgiordania, e la striscia di Gaza dagli Egiziani. Seguirono diverse guerre tra lo Stato d’Israele
e gli Stati arabi circostanti (1956, 1967, 1973, 1982); e nel 1967 Israele occupò tutta la Palestina al
di qua del Giordano. I fatti più recenti sono abbastanza noti.

Nel suo viaggio in Israele, lei ha potuto vedere qual è l’atmosfera del paese e se c’è molta
adesione all’operazione del governo Sharon.

Sono due domande, e darò due risposte. La prima è più banale, ed è che io sono stato in Israele
nel periodo pasquale, e siccome in quel periodo coincidevano sia la Pasqua ebraica che la Pasqua
cattolica, c’erano molti turisti: in altri periodi invece il numero dei turisti è diminuito drasticamente,
perché la gente ha paura. Io sono stato da dei parenti in un villaggio a sud di Tel Aviv, quindi una
zona relativamente tranquilla perché lontano dai confini. Dico relativamente, perché ormai questi
attentati succedono un po’ dappertutto, anche una strada che uno percorre comunemente può
essere un posto dove c’è un attentato. Però mi dicevano: "E’ bene che tu non vada al centro
commerciale, perché può essere pericoloso, o, se ci vai, non portare i bambini". E questo già
rende l’atmosfera; un po’ come succedeva in Italia durante le Brigate rosse, in cui la gente evitava
 i cinema e i luoghi affollati. Io sono andato lo stesso in questi centri, però all’ingresso venivo
controllato da un metal detector, e la borsa veniva aperta. Poi dovevo andare a Gerusalemme,
e i miei familiari si sono opposti: "Gerusalemme è una città pericolosa, dove sono successi molti
attentati": io ci volevo andare proprio per dimostrare che la vita è normale, che io non avevo paura,
 perché se gli Israeliani hanno paura, gli Arabi hanno ottenuto il loro risultato di rendere la vita
difficile agli abitanti del paese.

Quando dice "gli Arabi"si riferisce a quelli che fanno gli attentati, non a tutti gli Arabi?

E’ vero, è un’osservazione che mi è stata fatta altre volte. Diciamo che però c’è un’ostilità
generalizzata nei Paesi arabi nei riguardi di Israele, e una prova di questo fatto c’è nello Statuto
dell’Olp, che esprime chiaramente il desiderio di cacciare gli Ebrei dalla Palestina. Lo statuto
dovrebbe essere stato modificato, ma non so in che termini.

Le chiedevo anche del sentimento che ha potuto recepire…

Ecco, questa è l’altra domanda. Quando la gente mi fa questa domanda, e me la fa abbastanza
spesso, io dico che Sharon non è stato eletto dagli Israeliani, ma da Arafat. Arafat ha rifiutato le
offerte di pace che aveva fatto Barak: era un inizio di pacificazione, nel senso che Israele dava ai
Palestinesi gran parte della Palestina e un sobborgo di Gerusalemme: non era la luna, e infatti ci
sono movimenti pacifisti israeliani che dicono che non era una offerta generosa, però era una
offerta e poteva essere un inizio. Se ci fosse stata una attenuazione delle ostilità, ci potevano
essere altre, successive offerte. C’è una ragione, io credo, per cui Israele è restio ad annullare
gli insediamenti: finché non esiste una fiducia reciproca, questi insediamenti sono degli avamposti…

E quindi creano ostilità. Ma, a parte i movimenti pacifisti, questa azione viene approvata
dalla maggior parte della gente?

No, io non ho parlato molto di politica, però leggo i giornali, e la mia sensazione è che la gente,
anche i moderati, di fronte a questo rifiuto di Arafat di accettare questo inizio di pacificazione,
la gente normale, si è buttata verso un governo forte.

Ma noi siamo sconvolti dalla violenza dell’occupazione e delle operazioni di guerra: si sa in
Israele cosa succede, si vede come si vive in Palestina? Secondo lei, gli Israeliani sanno
com’è la vita quotidiana in Palestina per un uomo, una donna normale, come lei o come me?

Penso di si, da quello che si legge sui giornali. Io sarei andato molto volentieri a Gerico o a Jenin…
Gli Israeliani si rendono conto vuoi attraverso i giornali, vuoi attraverso i ragazzi che vanno a fare
il militare nelle zone occupate, i quali raccontano. Però a monte c’è questo discorso che Arafat
non ha voluto questo inizio di pacificazione e la gente si è irrigidita. Io ho letto il Jerusalem Post,
il giornale in lingua inglese più importante di Israele, e ho letto due articoli abbastanza significativi.
Il primo diceva: ci vorrebbe un De Gaulle, cioè un uomo di destra con una visione politica
abbastanza ampia per ritirarsi dai Territori palestinesi, come ha fatto De Gaulle con l’Algeria,
perché un uomo di destra avrebbe l’appoggio sia della destra che della sinistra: ed era un po’
anche la mia speranza; ero molto afflitto quando Sharon è stato eletto, e la mia speranza era che
un uomo di destra potesse fare la pace. L’altro articolo diceva che ci sono questi duecentomila
coloni, e sarebbe bene che andassero via, però bisogna trovare un modo per indennizzarli; non
possono da un giorno all’altro perdere la casa, perdere il lavoro: avrebbe bisogno di un indennizzo.
Chi ha potuto se ne è andato, ma ci sono molto che non possono.

Non pensa che il fatto di abitare nei Territori sia anche una scelta ideologica?Se fosse solo
una questione di indennizzo, la guerra costa molto di più…

Si, c’è anche il fatto ideologico; per esempio ci sono quattrocento Ebrei che pretendono di vivere
a Hebron perché c’è la tomba di Abramo. Anche altri stanno per ragioni ideologiche; ma penso
che la maggioranza stia lì per ragioni economiche. Il giorno che "scoppiasse la pace",
bisognerebbe trovare una soluzione anche per loro; penso che, come dice lei, la guerra costa
molto di più e quindi i soldi per indennizzare questa gente si troverebbero non solo da Israele,
ma dall’America e dall’Europa: tutti sarebbero contenti di vedere una pacificazione.
Una pacificazione potrebbe portare a una grande prosperità e il paese potrebbe rifiorire e
diventare un esempio per tutto il mondo, tenendo anche presente che queste due popolazioni
hanno in comune non solo la discendenza da Abramo, ma anche molte tradizioni e molte parole
del linguaggio: mano, notte, carità, pace…

Per corrispondere con il prof. Gustavo Reichenbach, si può scrivere a ormetal@unipg.it