“La locanda Giustini”

nel racconto di Gianfranco Giustini

 

Dopo il terremoto del 79, portavamo a Buda un carico di stivali, incontrai lui sotto la tenda, e parlammo di questo quadro che io volevo, e lui mi disse: “Ce l’ho su a casa”; e io dissi: “No, io voglio un quadro grande, bello, di quelli che si facevano una volta, tutta una parete”. Lui si entusiasmò di questa idea, e cominciò a parlarne, e cominciò a fare degli schizzi. E così siamo partiti. All’inizio pensavamo di farlo su una parete, poi cui siamo messi seduti a parlare e gli ho detto: “Mario, se tu ti metti a fare questo quadro, a parte il tempo che tu dovrai stare qui nella sala del ristorante, poi, essendo Cascia ballerina, questa parete rischiamo di perderla con quest’opera”.  “Sì, è vero, ci ho pensato anch’io…”. “Cerchiamo il legno”. Ci abbiamo messo un’eternità, l’ho portato a Siena, a San Gimignano, in parecchi posti, e alla fine lui si è deciso per questo compensato marino, quaranta atmosfere, e lui ha disegnato anche la struttura che tiene il quadro dietro. Lui rifletteva molto, dopo qualche anno io gli ho offerto la mia ospitalità nel salone sotto l’albergo, una specie di cantinone, e abbiamo fatto due cavalletti giganti per il quadro, gli ho messo lì una bottiglia di vino rosso e un bicchiere; e un giorno gli ho dato una grande felicità quando gli ho dato la chiave del salone: lui ha capito quello che volevo dire, e cioè fai quello che ti pare, e così lui quando c’erano quegli inverni freddi, l’estate con il caldo, lui veniva nel salone dove c’è una temperatura costante e disegnava, faceva quello che voleva; magari quindici giorni veniva, poi non lo vedevo più per mesi, poi tornava. Ci ha messo cinque anni.