Intervista a Mauro Volpi

 

Abbiamo incontrato Mauro Volpi, preside della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Perugia, per parlare del referendum del prossimo 25 e 26 giugno. In quei due giorni gli italiani saranno chiamati ad esprimersi sulla riforma della Costituzione promossa dall'ex governo di centro-destra.

Perchè si andrà a votare?

Il procedimento di revisione costituzionale deve seguire un iter ben preciso per arrivare a compimento e, alla fine, deve essere approvato da entrambe le camere con la maggioranza dei 2/3 dei componenti. Se non si raggiunge questo risultato si può far ricorso al referendum, dietro la richiesta di almeno 1/5 dei parlamentari, 5 consigli regionali o 500.000 elettori: in questo caso sono stati ben 15 i consigli regionali, e oltre 800.000 le firme raccolte. Il referendum di giugno, è importante ricordarlo, è “confermativo” e, per questo, non prevede alcun quorum di validità: basta un voto in più per il “sì” o il “no” perché la legge venga promulgata o torni al Parlamento.

Qual’è l’oggetto del referendum? Secondo la sua esperienza di costituzionalista, qual’è la scelta migliore da fare?

La riforma su cui gli italiani si devono esprimere, per ampiezza (50 articoli cambiati più 3 nuovi), per contenuti e per metodi è ben più di una semplice modifica della carta costituzionale già esistente: se passasse il “sì” ci troveremmo con una Costituzione nuova, peggiore della precedente, meno democratica e più squilibrata. Per capire la natura di questa legge basta pensare che, per la prima volta, una riforma del genere non nasce dalla discussione parlamentare ma dalla volontà di un Governo: è infatti il prodotto dei famigerati “4 saggi” (Calderoli per la Lega, Nania per An, D’Onofrio per l’Udc e uno per Fi: ndr.) riunitisi a Lorenzago. É importante andare a votare, e votare “no”.

Vediamo i punti principali di questa proposta: la devoluzione.

Con questo termine si indica, innanzi tutto, la previsione che le Regioni legifereranno in via esclusiva in nuove materia, come la sanità, l’istruzione e la polizia amministrativa. Fino ad ora in questi campi c’era competenza concorrente: lo Stato dettava le norme generali e le Regioni entravano nel dettaglio. Se la riforma passa si delineerà una forte conflittualità tra questi due Enti. Si parla poi di “federalismo fiscale”, cioè di autonomia fiscale delle regioni, anche se non è ben chiara l’ampiezza di quel Fondo perequativo che dovrebbe sopperire agli scarsi introiti delle regioni più piccole o meno ricche, quelle con minore bacino fiscale. Altra novità è la reintroduzione del principio dell’interesse nazionale: se il Governo ritiene che questo viene violato da una legge regionale può chiederne l’immediata abrogazione. Appare chiaro come sia uno strumento puramente politico con cui colpire Regioni con un’amministrazione di colore diverso rispetto a quella centrale.

Veniamo alla forma di governo e alle garanzie costituzionali.

Il Presidente del Consiglio diventerà formalmente un Primo Ministro eletto direttamente dal popolo: il Presidente della Repubblica dovrà semplicemente nominarlo sulla base dei risultati elettorali. I poteri di questa nuova figura sono ampi e senza precedenti nella storia democratica del nostro paese: non ha bisogno del voto di fiducia iniziale, nomina e revoca i ministri, “determina” la politica del Governo. Lo scioglimento delle camere rimane prerogativa del Presidente della Repubblica solo, però, su richiesta del Primo Ministro o quando venga approvata una mozione di sfiducia nei suoi confronti. Se ciò accade può essere sostituito, e qui sta una delle novità più gravi, con un voto a maggioranza assoluta per il conteggio della quale si fa riferimento solo alla maggioranza al governo. Ecco allora la violazione del principio costituzionale di uguaglianza, poiché saranno solo i parlamentari della maggioranza a poter scegliere, tra l’altro solo al proprio interno, il nuovo Primo Ministro. Al capo del Governo, per mantenersi in carica, basterà assicurarsi l’appoggio di una minoranza della sua maggioranza ma, allo stesso tempo, sarà sottoposto al ricatto di qualsiasi piccolo partito che, lasciando la sua coalizione per andare all’opposizione, potrebbe fargli mancare la maggioranza. Con questa riforma avremo dunque il massimo della rigidità combinata con il massimo dell’instabilità. Un’ultima parola sulle garanzie costituzionali, pesantemente indebolite di contro al rafforzamento, unico al mondo, della figura del Primo Ministro: il Presidente della Repubblica avrà un ruolo puramente formale e la Corte Costituzionale vedrà cambiata la propria composizione a vantaggio della frazione di nomina governativa. Bastano queste poche riflessioni per capire che il “no” del 25 e 26 giugno è un voto a tutela della democraticità del nostro ordinamento.

(Filippo Costantini)

 

 

Mauro Volpi è Preside della Facoltà di Giurisprudenza di Perugia. Dal 1990 è ordinario di Diritto costituzionale e comparato e dal 1993 fino al dicembre 2003 è stato presidente del Centro Studi Giuridici e Politici della Regione Umbria.
E' nato a Perugia dove si è laureato discutendo una tesi in diritto costituzionale con il Prof. Giuliano Amato. Ha compiuto la sua carriera accademica nell'Ateneo perugino come borsista, contrattista, ricercatore e professore. Ha pubblicato, tra l'altro, monografie sulla Quinta Repubblica francese (Il
Mulino, 1979), sullo scioglimento del Parlamento (Maggioli, 1983), sulle riforme elettorali in
Francia e Italia (Bulzoni, 1987), sulla revisione costituzionale in tema di forma di governo in Italia (Giappichelli, 1998), sulla classificazione delle forme di Stato e delle forme di governo (Giappichelli, 2000).