Il Creato non è in vendita

Intervista a Vittorio Agnoletto

Vittorio Agnoletto,  portavoce ufficiale del Forum Sociale di Genova, dottore in   prima linea per quindici anni nella lotta all’AIDS, impegnato ancora oggi come Consulente Scientifico della Lila Cedius (la Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids - Centro per i DIritti Umani e la Salute), e, soprattutto, uno dei riferimenti più significativi del Movimento dei Movimenti, della sua nascita e della sua evoluzione. Con questo libro ha voluto esprimere la sua esperienza di “prima persona”,  offrire il suo autonomo  e autorevole punto di vista sul “mondo possibile” come maturata sintesi di riflessioni, dopo lunghe interazioni con le parti; le priorità, le urgenze e le potenzialità nate da un’esperienza diretta, sofferta e piena di ostacoli, ma vissuta fino in fondo, con la  consapevolezza e responsabilità di un evento  destinato a cambiare la storia e la cultura. Trattando i temi forti di Genova e del dopo Genova: violenza –non violenza, partiti non partiti, modalità di lotta, consenso, problemi di comunicazione mediatica, di immagine, sovranità degli Stati, crisi delle istituzioni rappresentative, globalizzazione dei diritti, conquiste del “secolo breve”, Stati a democrazia limitata, e rapporti tra nord e sud del mondo, l’autore ha provato anche a sfatare alcuni banali pregiudizi e le innumerevoli mistificazioni, che tanto nutrimento hanno tolto alla diffusione  dei contenuti, di cui il movimento si è fatto vettore privilegiato. Pensando e “sentendo”  che quest’anno la Marcia per la Pace, dovrà essere importante, perché nessuna guerra è mai finita, “soprattutto le nostre”,  hanno solo spostato, spento le telecamere sulle dirette, appare ancora lontano il  “Nido dei Serpenti” e il siero da preparare, contro i loro morsi al mondo, cercando le orme che il movimento lascia silenzioso sul terreno dell’estate (fine giugno) vado a sentire Agnoletto alla Terrazza di Perugia,  in occasione della presentazione del suo libro “Prima persone. Le nostre ragioni contro questa globalizzazione”, Edizioni Laterza, Bari 2003; gli chiedo un appuntamento per una intervista, che mi concede il giorno successivo, così nell’attesa continuano a frullarmi  domande vecchie e nuove, ecco la prima:  Come hai provato a spiegare ai  molti compagni (in buona fede) che anche per ragioni culturali o di età (tempeste ormonali ribellismi giovanili puerili) da vari spezzoni del movimento, nonostante i  risultati del terrorismo-brigatismo degli anni settanta, la strumentalizzazione dei disordini verificatisi, nonostante il gioco al massacro dei mass media, ancora non si sono convinti che la strada della violenza può portare solo alla sua autodistruzione? 

 

Intanto faccio una premessa. Quando affronto il tema della violenza-non violenza, della forza, mi riferisco ai movimenti del mondo occidentale,  non credo di avere  l’autorevolezza e la legittimità per  parlare di movimenti e popoli che vengono da storie sistemi  e regimi completamente diversi dai nostri. Detto questo,  penso che la non- violenza sia un valore etico, ma soprattutto fortemente politico; a tutti coloro che non ne  riconoscono il valore etico,  dico che comunque sul piano politico, oggi, non c’è alternativa. I mezzi dell’avversario sono tali, che noi possiamo vincere  solo attraverso la costruzione del consenso. Non esiste nessun palazzo d’inverno da conquistare, il potere è sempre più invisibile, lontano e concentrato, abbiamo delle ragioni enormi,  perché  questo modello di sviluppo non garantisce un futuro per tutta l’umanità (oggi 6 miliardi di uomini e donne). E’ sufficiente  pensare all’importanza delle battaglie per l’accesso ai farmaci nel sud del mondo, per la cancellazione del debito, per le riduzioni delle spese militari, alla lotta contro la fame, che rischiare di non essere compresi, a causa di qualche atto di violenza che mentre non sposta assolutamente nulla, rischia di costituire semplicemente un autogol. Si possono portare in piazza milioni di persone, ma se viene rotta una vetrina, i giornali continuano a fissare e proporre quell’immagine. Certo, è chiaro che la vera violenza è dentro  questo sistema, che condanna tante persone a morir di fame, di povertà, di malattie, ma non la risolviamo spaccando tutto. Soprattutto ritengo necessaria una riflessione più profonda, più culturale: quello di porre   al centro del nostro impegno, un’ etica, (non un valore assoluto, astratto dal contesto storico), che si incarni momento dopo momento nella fase storica, mettendo ad esempio in discussione uno dei paradigmi del secolo precedente, cioè il rapporto mezzi/ fini. Infatti il Ventesimo secolo ci insegna che il mezzo utilizzato modifica  il fine stesso, infatti cito Tolstoj, “non si può spegnere un incendio con il fuoco, non si può fermare un allagamento con l’acqua, non si può  battere la violenza con la violenza”.          

Come vedi il movimento di oggi rispetto al recente passato, e quali le sue priorità, e i suoi conflitti da risolvere? Non trovi che stia attraversando un momento di stanchezza?

Il movimento, almeno in Italia, per due anni, è andato ad una velocità assolutamente incessante, fortissima, e oltre tutto, per quasi un anno, siamo stati l’unica vera opposizione  sociale al governo delle destre, e abbiamo dovuto reggere da soli lo scontro su settori chiave come quello della scuola,  e su tante altre questioni, poi c’è stato l’11 settembre, la guerra in Afganistan, e in Iraq, siamo dovuti  essere presenti  in tante parti e continuare a produrre iniziative, e siamo riusciti a  fare più di dieci manifestazioni  in un anno e mezzo, superiori alle 100 mila persone, con punta di  3 milioni di persone il 15 febbraio. Credo che non ci sia da meravigliarsi, se,  oggi, il movimento ha bisogno di fermarsi, di discutere, di riflettere. Presentando il mio libro, ho avuto modo di verificarlo da Lecce a Trento. Attraversando l’Italia noto che le sale sono sempre piene, quindi  l’interesse c’è, ma si devono affrontare dei problemi di fondo, di strategia e anche teorici, rivisitare ad esempio il concetto di democrazia: se analizziamo lo strapotere di alcune istituzioni internazionali quali la Omc (Organizzazione mondiale del commercio), la Banca Mondiale e il Fondo Monetario (che nessuno ha eletto) ci rendiamo conto che tutti noi viviamo in un regime di sovranità nazionale limitata. Sono convinto che siamo destinati a durare nel tempo, non siamo un movimento superficiale, perché le ragioni strutturali della nostra esistenza sono dovute a questa globalizzazione neo-liberista che non si ferma, quindi lo ritengo un momento di crescita.    Non è solo quando siamo in piazza che si cambiano le cose ma anche   modificando le proprie abitudini,  quando ad esempio si va a fare la spesa: è come entrare nella cabina elettorale. Questo è un atteggiamento quotidiano di cambiamento delle priorità su scala etica, su questo stiamo contaminando, aree sociali che prima erano molto lontane dal movimento.

Pensi che dipenda anche un po’, da questo momento di stanchezza e di costruttiva riflessione del movimento, la relativa sconfitta referendaria per  l’allargamento del diritto dell’articolo 18?

Non credo che ci sia un rapporto diretto tra la sconfitta del referendum dell’articolo 18 e il movimento. Però c’è un elemento interessante: il fatto che la stragrande maggioranza degli elettori dell’opposizione sia andato a votare per il sì, in contrasto con le indicazioni dei dirigenti del centrosinistra, dimostra una autonomia del comportamento sociale  dall’indicazione politica. Elemento questo ancor più interessante se notiamo come  la maggior parte di queste persone ha votato per quei partiti il 25 maggio.  Significa che esiste, su alcuni, temi, una sensibilità molto maggiore tra il popolo della sinistra che tra i dirigenti della coalizione politica; sensibilità che porta ad una autonomia di comportamento e che ha al centro la difesa dei diritti universali vissuti come diritti indivisibili. Io credo che questo sia frutto del lavoro, della contaminazione del movimento, che oggi  non arriva ancora a modificare la caduta politica istituzionale, ma arriva a realizzare una autonomia del sociale dai comportamenti politici. Il movimento  ha favorito l’autonomia di importanti organizzazioni  dai propri riferimenti politici storici. Due anni fa la Cgil e l’Arci non avrebbero assunto le posizioni che hanno poi  preso; dopo, non si è riusciti a trasformare la vicenda referendaria nella grande battaglia per i diritti universali, non si è riusciti neppure all’interno del movimento a caricarla di quel significato che andava oltre il fatto concreto di garantire lo statuto dei lavoratori a tutti coloro che lavorano in aziende con un numero minore di 15 dipendenti. L’intento era farne  un elemento di unificazione delle diverse figure che sono collocate, con diversi contratti, con diversi ruoli, nell’ambito del lavoro; su questo siamo sicuramente più indietro di quello che pensavamo.

Non credi  che un elemento di freno, per molti, potrebbe essere stato il timore che allargando questo diritto, in un sistema come questo,  si potessero indebolire le piccole aziende o metterle in seria difficoltà, accelerando il processo, di scomparsa dell’economia locale  a favore delle grandi aziende? Quindi  tradire uno dei concetti fondamentali della lotta alla globalizzazione, quella della lotta al  monopolio del mercato da parte dei poteri forti?

Non credo che abbia pesato tanto questo, penso che chi lo affermava era contrario al referendum per altri motivi di scontro politico più generale, noi abbiamo rapporti con alcuni gruppi di  piccoli e medi imprenditori,  in gran parte consapevoli di avere come avversario una globalizzazione basata sulle multinazionali, sui monopoli,ecc. Un esempio chiarificatore è sicuramente rappresentato da ciò che sta avvenendo all’interno dell’industria tessile, che produce a costi bassissimi dall’altra parte del mondo senza rispettare i diritti umani, la salute, l’ambiente, i salari, con vuoti economici  catastrofici (disoccupazione) qui da noi. Sentendosi la piccola industria soffocata da questo,  alcuni rappresentanti vennero chiedere un confronto con noi,  durante il  dibattito uscirono i veri problemi che  minacciano la loro esistenza: come la difficoltà a ricevere prestiti, l’alto tasso d’interesse prodotto dalle banche, il fatto che non vi è una tassazione sulla borsa, invece è tutta sui profitti diretti; queste sono le ragioni  che rischiano di strozzarli e di non dare ossigeno all’economia, non altro. Quindi credo che sia necessario superare alcuni residui ideologici e capire che noi possiamo avere un rapporto proficuo con queste realtà  locale, e che alcune battaglie debbano essere intraprese insieme con più forza.

E’ chiaro che tutto gioca contro il movimento: da coloro che vogliono carpire le idee senza dare segni di ascolto, ai partiti che fanno finta di adattarsi, per poi accogliere i contenuti e trasformarli in elementi  che danno un valore aggiunto (ma solo di apparenza)  a coloro che lo hanno demonizzato a causa della violenza, a tutti coloro che fanno di tutto per  farlo a pezzi.  Ma è chiaro che a livello culturale, è un principio attivo in grado di trasformare le coscienze  degli uomini e delle generazioni di tutta la terra, che resiste e resisterà…

Sono convinto  che non è possibile fermare questo movimento,  sarebbe come fermare la storia,ciò non significa che vinceremo tutte le nostre battaglie,  significa che siamo  (purtroppo) anche l’unica risposta oggi esistente ai drammi, alle tragedie, alle ingiustizie, alle sofferenze prodotte da questa globalizzazione neoliberista, Oggi viene compreso a livello di massa che nessuno può vincere facendo delle battaglie puramente locali, quindi c’è la necessità di coordinarci e lavorare veramente in rete.  Naturalmente, a livello culturale, ho in questo libro cercato di sfatare dei miti molto banali, bisogna chiarire una volta per tutte l’equivoco di essere chiamati  movimento “no global”, qualcuno mi spieghi che cosa c’è di più globalizzato del nostro movimento,  siamo uno dei due elementi di globalizzazione l’altro è la finanziarizzazione),  siamo contro questa globalizzazione dei profitti, che condanna 39  su 42 milioni persone sieropositive a morte perché non gli si danno  i farmaci; ma sicuramente non vogliamo tornare alla preistoria, siamo invece per la globalizzazione dei diritti, di tutte le persone del mondo.  Noi non siamo contro l’economia, siamo contro la finanziarizzazione dell’economia che domina sulla politica, e contro l’assenza della politica come elemento in grado di contenere la ricerca del profitto in nome dei diritti universali. Gran parte delle decisioni che ricadono sulla nostra vita sono assunte dalla “santa trinità del male”:Banca mondiale, Fondo monetario internazionale, Organizzazione mondiale del commercio; nessuno li ha eletti, questi organismi, ma limitano di fatto la sovranità degli Stati. Facciamo un esempio. Lo Zambia può eleggere qualunque governo ma se si determina una situazione di carestia (vedi estate 2002), e ha un problema di cibo e le agenzie delle Nazioni Unite  gli impongono gli o.g.m.,  non importa quale sia il governo eletto, cosa vogliono i cittadini, questa nazione può solo scegliere se far morire di fame i suoi abitanti o se prendere i prodotti geneticamente modificati e distruggere l’economia degli anni seguenti. Qualcuno in Italia, al di là della demagogia, pensa che possiamo risolvere i problemi della Fiat in Italia?  Si può al massimo lavorare sugli ammortizzatori sociali, tentare di dare una risposta alla disoccupazione, il problema dell’economia del mondo meccanico è da affrontare a livello mondiale. 

Nel tuo libro si riparte dall’uomo, dai suoi diritti acquisiti a prescindere da tutto, dal suo diritto di nascita, e poi dalla capacità di organizzarsi per stabilire delle regole ancor prima dello Stato Interessantissima quella centralità dell’uomo come portatore  naturale di diritti, ma non sarebbe meglio parlare di globalizzazione dei diritti di tutte le creature?  Di una globalizzazione dei diritti del vivente, dove tutto il vivente viene tutelato, per la sua capacità di contribuire al tutto?

Nel combattere l’ infelicità, il dolore, l’inquinamento, la schiavitù, lo sfruttamento, la mercificazione di tutte le creature, non c’è forse la chiave di un rispetto universale?

Questa è una critica  ad una certa forma di umanocentrismo, accetto la critica, anche se credo che oggi, bisogna partire dagli esseri umani, dai lori diritti,… dalla loro capacità di sentire, i diritti di tutte le altre forme di vita.. delle creature… però se non c’è il rispetto dei diritti umani, è difficile chiedere il rispetto degli animali e dell’ambiente circostante… dovrebbe essere un processo che avviene contemporaneamente..

Noi lo vediamo come conseguenza, potrebbe essere un limite culturale, partiamo dalla centralità dell’essere umano, e andiamo a difendere, il mondo ambientale e il mondo animale, partendo dalla relazione che l’essere umano può stabilire con questi altri mondi. Accetto il fatto che probabilmente c’è un ulteriore salto culturale  da fare, dove si riconosce  che il mondo animale, il mondo vegetale e naturale, hanno diritti e dignità loro anche indipendentemente dalla relazione con l’uomo. Accetto la critica.

 Non credi che coloro che costituiscono il movimento, che stanno   lavorando  chi a favore del biologico e contro gli o.g.m.,  chi contro gli inceneritori, chi  per i diritti dei lavoratori di tutto il mondo, e delle donne, chi contro tutti i razzismi di “ritorno”, ecc.., dovrebbero smettere di pensare presuntuosamente che per primi passeranno alle porte di questo altro mondo possibile, ma riconoscere a ciascuno il suo valore e solidarizzare più attivamente il rispetto per ogni specifica competenza e specializzazione…

Sono d’accordo sulle conclusioni, ma non sono d’accordo sulle analisi; ho l’impressione che in questi ultimi anni si sono fatti passi avanti molto grandi per ridurre la conflittualità tra i diversi settori del movimento, e  a livello del mondo associativo; mi pare che si riesca a capire sempre più che la “tua” battaglia specifica la puoi vincere, solamente se la leghi ad altre battaglie specifiche. E’ stata l’intuizione originale attraverso cui è nato il Forum sociale di Genova, l’associazione come la mia, ha aderito al Forum sociale di Genova quando si è resa conto che la battaglia per l’accesso ai farmaci, nel Sud del Mondo, non poteva essere condotta solo dall’associazione rivolta all’Aids, perché bisogna scontrarsi con l’associazione mondiale del commercio , che aveva ben altro ruolo e ben altro potere; era necessario fare delle alleanze, e mi pare che quando come movimento italiano andiamo all’estero, siamo gli unici che si presentano in forma unitaria; detto questo, mi sembra, che il problema sia un altro; noi dobbiamo fare uscire alcune pratiche di testimonianza da una situazione di ghetto e di minoritarismo; è arrivato il momento, ad esempio, che il commercio equo–solidale si apra e riesca ad entrare in contatto con il resto del movimento, riesca ad investirlo di queste pratiche, e a parlare all’insieme delle società; credo anche anche questo dipenda dalla capacità di gestire le campagne di boicottaggio, che nel nord Europa funzionano, in Italia siamo molto poco capaci, anche il boicottaggio contro la Esso è stato una cosa più che altro simbolica. Io credo che questo tipo di cultura potrebbe radicarsi, se chi ha studiato e lavorato su queste cose esce da  questa logica, pur importantissima, e entri nella fase di pratiche collettive. Accettare la contaminazione dei linguaggi, essere capaci di parlare a qualcuno che ha una storia culturale diversa dalla tua, e questo non sempre viene praticato.

Qualche volta, prevale una mentalità di casta chiusa, lo spirito della sinistra, dovrebbe essere attraversato da una grande solidarietà, e volontà di comunicazione  verso coloro che non hanno tutti gli strumenti per comprendere e coloro che non hanno tempo per sapere, e da un cambiamento comportamentale nel quale teorici, tecnici, filosofi, venditori, imprenditori, del mondo  possibile… si offrano e si porgano all’ascolto… in atteggiamenti  di non violenza morale, disponibilità intellettuale nei confronti degli uni verso gli altri.

Dobbiamo superare alcune forme di elitarismo, che è forte in alcune aree, ma è in via di superamento, credo che il lavoro di sintesi, che viene fatto in alcune aree del movimento, riconoscendone la pluralità, sia un lavoro molto importante che ha fatto passi avanti.

Se il movimento può essere paragonato ad un grande fiume, dove gli affluenti sono le associazioni ecc.., se come hai  detto non si possono discriminare coloro che vengono dalla politica, e sono con te, quali sono i mezzi istituzionali di rapporto e di raccordo  possibili tra i partiti e il movimento? Come possono e devono incidere? 

Non si può assolutamente discriminare chi viene dai partiti, ma nessuno deve egemonizzare;  in Italia, anche se qualcuno volesse farlo non ci riuscirebbe proprio,  perché “il soggetto vivente” in questione  rifugge tutti i tentativi di monopolizzazione, categorizzazione, di organizzazione,   unidirezionale, verticale, verticista. E’importante che  il movimento continui a fare il suo mestiere, che non è solo quello di dire no, ma quello di avanzare delle proposte,  e di renderle pubbliche,  fare pressione sulle forze politiche,  poi sta a loro decidere cosa condividere di tali proposte e in che misura. Il movimento deve avanzare  degli  itinerari concreti, percorribili.  Per esempio,  non abbiamo mai pensato di poter fermare la mano di Bush dai bottoni delle guerra, ma siamo riusciti a smascherarlo,  abbiamo reso impossibile per l’Onu coprire la guerra americana; è il movimento che ha determinato il fatto che la Germania non ha appoggiato la guerra, così la Francia; è un movimento globale  che riesce a diffondere una cultura che segna e segnerà anche gli anni seguenti. Siamo di fronte ad una guerra infinita, non è solo perché dopo l’Iraq si parla di altre nazioni, è guerra  infinita anche quella che condanna 39 milioni di persone seriopositive  a morte,  è guerra infinita 814 milioni di persone che vivono sotto la soglia  della sopravvivenza. Noi stiamo costruendo cultura e sensibilità, e dopo la cultura si modificano i comportamenti (consumo critico, boicottaggio) e dopo   ci potrà essere la  ricaduta sociale, e dopo la ricaduta nella politica istituzionale; bisogna dare tempo di maturare; dopo il 1968-69 c’è stato il 1972 e alle elezioni vinse la destra; lo spostamento a sinistra avvenne solo nel ’75-’76. Il meccanismo della coscientizzazione politica non è automatico, quando hai l’80-85% che è contro la guerra, contro questa guerra, c’è l’analisi politica, l’etica,  e l’identificazione con persone che soffrono (la compassione). La crescita politica sta nel far passare a livello di  massa che la guerra è lo strumento privilegiato della politica del liberismo, del XX e XXI secolo, e che quindi la guerra serve a  garantire che meno del 20% della popolazione usi l’83% delle risorse ed ecco che qui si può  collegare all’altra guerra sociale. Quando scatta questo livello di comprensione scatta il meccanismo di formazione della coscienza politica; oggi tale coscienza percorre strade diverse, che non è più solo rapporto sul luogo di lavoro; alcuni dirigenti della Fiom erano perplessi nel vedere molti operai partecipare alla manifestazione per la pace, e non alle lotte di fabbrica; la coscienza politica può nutrirsi di alti ideali, che sicuramente il movimento è l’unico a far veicolare. Lo strumento per misurare tale efficacia si chiama  “Glocale”, la capacità di riportare a livello locale queste grandi battaglie ottenendo dei risultati. Lottiamo contro la privatizzazione dell’erogazione  dell’acqua, non solo nel Terzo Mondo, ma qui, in Italia, mentre ci  battiamo contro la questione dei venti anni di proprietà intellettuale sui brevetti non dimentichiamo di  domandarci quale posizione prenderà   l’Unione Europea, e così dobbiamo fare nei confronti della  produzione di armi locali, per una riconversione che salvaguardi l’occupazione e un etica di pace,  bloccare la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, quindi  proporre  altre priorità veramente a misura di uomo e della qualità della vita di tutti. 

Come  quello di mettere mano agli acquedotti, che perdono il 40 % della preziosissima acqua, facendo il gioco di coloro che gestiscono i mercati delle acque minerali? Proporre una grande campagna per l’adeguamento dei salari all’effettivo costo della vita, lottare per il diritto alla casa e al lavoro per tutti, bloccare l’entrata degli o.g.m.,  ecc. E i politici, sia  di destra che di sinistra, che si aumentano gli stipendi del 15%. Si mettessero una zampa sulla coscienza…

Certamente, il movimento non deve trasformarsi in partito, ma fare politica,  mettere al centro una serie di contenuti e chiedere alle forze politiche di pronunciarsi. Noi abbiamo l’ambizione di dettare un’ agenda politica, e chiediamo al mondo politico di assumere le proprie responsabilità. Esiste naturalmente un problema, noi abbiamo a mio parere in Italia un’ area antiliberista, che va dal 12% al 15% e sul piano della rappresentanza politica non c’è un equipollente, c’è una serie di forze, di aree che si definiscono tali, ma sono molto frastagliate tra di loro, e non lo sono sul  fare e su  obiettivi, ma sulla base alle appartenenze di tipo ideologico. Non credo che nella storia moderna si riesca a sovrapporre l’immagine politico istituzionale al quadro sociale. Rimarrà, resterà sempre una diversità, sta a noi  ridurre questa diversità, dobbiamo continuare a fare un lavoro culturale, e  svolgere un ruolo di “levatrice”, per facilitare la nascita di una sinistra, che vada oltre l’ideologia radicale, capace di praticare terreni di lotta sociale. La sfida è riuscire a costruire in Italia un’area antiliberista, mantenendo il pluralismo. Certo, abbiamo una serie di obiettivi concreti, soprattutto a livello locale, l’aspetto globale ci dà la spinta etica, ma le battaglie concrete le facciamo ognuno a casa propria, bisogna diventare soggetti in grado di costruire la democrazia, che risulta carente, mettere l’accento sulle parti socialmente attive del nostro sistema. Il movimento è l’unica “superpotenza” in grado di contendere al potere economico e finanziario la gestione della globalizzazione.

Il movimento è l’unica vera rivoluzione culturale per il prossimo millennio.

E’ l’unico futuro possibile. Nel mio libro concludo con una frase di Martin Luther King: “Dobbiamo estrarre una pietra di speranza dalla montagna”. Io credo che il movimento sia questa pietra di speranza. 

                        (Marta Ponti)