Scuola e città: un gioco di specchi

Tullio Seppilli
È, attualmente, professore di Antropologia Culturale e direttore dell’Istituto di Etnologia e Antropologia culturale nella Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Perugia; presidente del "Festival dei Popoli" (Istituto Italiano per i film documentari sociali), e della società Italiana di Antropologia medica, (editrice della rivista "A.M.")

Qual è la valenza educativa della città?

Prima di tutto mettiamoci d’accordo sul concetto di educazione. Se si intende un’influenza sui modi di pensare della persona, una città può trasmettere un determinato stile di vita. Anche la struttura morfologica della città condiziona lo stile di vita. A Perugia, per esempio, la pratica della “vasca”, dell’andare su e giù per il centro storico, non richiede che le persone si diano un appuntamento specifico per incontrarsi. Una parte della città, paradossalmente, diventa una sorta di salotto.

Non a caso Corso Vannucci è costellato da bar, banche, negozi di abbigliamento. Anche questo è un indicatore di quanto la città (dis)educhi. E non a caso, pochi tra quanti quotidianamente frequentano il centro di Perugia conoscono la Galleria Nazionale dell’Umbria presso Palazzo dei Priori.

A Perugia cosa si impara?

Perugia insegna che ci sono poveri e ricchi, per esempio, basta osservare il centro e le periferie.

Insegna inoltre che è una città d’arte e che vi è un percorso storico, che ha una struttura medioevale/ gotica.

Non bisogna trascurare, però, che vi è un gioco di specchi, una stretta corrispondenza tra la città e il sistema scolastico. Le informazioni infatti arrivano qualora si riesce a leggerle; dunque, mi scusi per il gioco di parole, la città educa le persone più educate.