Autostrada, Nodo di Perugia, Quadrilatero…

Le grandi opere: una speranza o una minaccia per l’Umbria?

E 77, E 45, nodo di Perugia e gli altri interventi per il potenziamento e l'allargamento del nostro sistema viario vanno verso uno stravolgimento della nostra identità e vocazione regionale incentivando sempre di più l'utilizzo dell'Umbria come luogo di passaggio piuttosto che come luogo di qualità di vita, con ricadute negative sull'ambiente e sul paesaggio della regione.

 

Convegno organizzato da Wwf, Legambiente e Italia nostra dell’Umbria a Bastia il 20 novembre 2004,

all’interno della Rassegna Habitat dedicata all’edilizia ecosostenibile

Vanessa Pallucchi, Legambiente Umbria: Abbiamo pensato che fosse utile parlare di uno dei principali nodi di dibattito di questi giorni, in cui i nostri politici, con tono trionfalistico, stanno parlando delle nuove opere infrastrutturali che avrà l’Umbria, che stanno creando inquietudine in molti cittadini, tanto che si sono costituiti in comitati, ma che soprattutto rappresentano uno stravolgimento dell’identità della nostra regione. L’incontro di oggi è proprio finalizzato a fornire quegli elementi di conoscenza e di consapevolezza per capire cosa sta accadendo in Umbria: per le infrastrutture che vengono presentate o si hanno in mente, da trasformare la E45 in autostrada all’inquietante progetto Quadrilatero, che collegherà le Marche con l’Umbria, fino ai discutibili nodi sia di Perugia sia di Spoleto, crediamo che per manifestare un parere su questo, occorra fondamentalmente basarsi sull’elemento di conoscenza. Crediamo che sia superato il pregiudizio che le associazioni ambientaliste sono contro lo sviluppo, ma crediamo che questo che viene proposto sia uno sviluppo che è fuori dal tempo, che non è adeguato ai bisogni ambientali e sociali di questa epoca. Il trionfalismo che c’è stato in questi giorni sulle strade mette ancora più in luce gli aspetti di forte incoerenza nella nostra regione, che sono: 1, quello legato alla pianificazione, perché noi abbiamo avuto una pianificazione che nell’ordine ha seguito: prima è uscito il Piano regionale dei trasporti, poi il Piano energetico regionale e come ultimo il Piano di risanamento della qualità dell’aria. Ma il Piano di risanamento della qualità dell’aria doveva essere propedeutico agli altri due; e questi piani molto spesso non sono in collegamento, e soprattutto nella pianificazione ci sono delle premesse basate sullo sviluppo sostenibile, sugli accordi internazionali, sulla solidarietà anche globale rispetto al clima, ecc., ma poi si va a vedere che le prime opere che vengono finanziate sono sempre quelle infrastrutturali stradali, che incentivano il trasporto su gomma; quando noi stiamo in una regione che aspetta da più di dieci anni che sia fatto il raddoppio della Orte-Falconara, che non è un lavoro così faraonico come altri infrastrutturali di tipo stradale, e che sicuramente porterebbe dei vantaggi e anche un abbattimento dei rischi ambientali, scommettendo di  più sul trasporto su rotaia. L’altro elemento che noi troviamo inquietante è la questione dei finanziamenti: come vengono finanziate queste opere? Innanzitutto un esempio molto semplice, che non viene detta nemmeno tutta la verità su questo: cioè la E45 diventerà una autostrada, ma in realtà si vede quanto è difficile in questo periodo, quanti tagli sono stati fatti soprattutto agli enti pubblici, la verità è che i soldi non ci sono: quindi queste opere che vengono presentate probabilmente non verranno finanziate, come probabilmente non verrà finanziato il ponte sullo stretto; è però come buttare la palla al di là di un limite, che è quello di considerare l’ambiente e la sostenibilità un elemento di valutazione fondamentale per lo sviluppo, e questo non viene fatto. Un altro elemento profondamente inquietante, e ne parleremo anche oggi rispetto ai finanziamenti, è il progetto della Quadrilatero Spa, che su tutti i giornali si dice che verrà finanziato; viene presentato come un progetto di innovazione, in realtà viene proposta l’urbanizzazione dei territori dove passerà la strada per finanziare la strada: voi capite quale incoerenza e quale pericolo ha questo; cioè, vendiamo i terreni, facciamo in modo che abbiano un valore finanziario, per la strada; quindi si stravolge completamente il ruolo della pianificazione, anche il ruolo politico, perché la Quadrilatero Spa sarà di fatto un meccanismo che verrà messo in mano ai privati, dove il pubblico farà un passo indietro e quindi rinuncerà alla tutela degli interessi collettivi. La nostra iniziativa sottolinea, oltre a questi rischi, come in Umbria si sta scegliendo un modello di sviluppo completamente sbagliato. E, ci dispiace dirlo, ma chi sta al potere politico, sia di centro-destra come il governo nazionale, sia di centro-sinistra come il governo della nostra regione, vede nelle infrastrutture viarie un modello di sviluppo: noi siamo contrari, anche perché questo è citato come esempio nel nostro documento nazionale di Legambiente: quando è stata fatta l’Autostrada del Sole, c’è stata una lotta feroce per farla passare in certi territori: Fanfani per esempio si è molto speso per farla passare ad Arezzo; una delle poche città che non si è candidata per il passaggio dell’autostrada è stata Siena; ebbene, oggi Siena ha uno dei redditi pro-capite più alti d’Italia, non mi sembra che sia rimasta tagliata fuori dallo sviluppo. Bisogna creare la qualità del territorio perché la gente venga nel territorio. Noi rischiamo che l’Umbria diventi un territorio di passaggio, per cui la gente passa perché ci sono le strade e dove si può avere un agevole transito delle merci. Ma all’Umbria serve questo? Questa è la domanda che facciamo ai relatori oggi presenti.

 

Mariano Sartore: Vi anticipo che la mia relazione sarà abbastanza noiosa: mi piacerebbe moltissimo discutere di futuri possibili, però credo che sia davvero importante partire con un  po’ di elementi concreti, per cui mi limiterò a una presentazione a partire dai dati oggettivi, cioè dai progetti. Prima di partire con l’Umbria delle grandi opere, vorrei fermarmi un po’ su una questione che riemerge continuamente qui in Umbria: quest’estate c’è stato un articolo abbastanza importante di Calzoni, l’economista ed ex-rettore, ma è riemerso l’altro giorno al convegno della Cgil, dove se ne è fatto portavoce il sindaco di Perugia Locchi: la questione della sottodotazione di infrastrutture viarie dell’Umbria; si è affermata, e viene continuamente riproposta, l’idea che l’Umbria sia una regione isolata e senza strade. Allora sono andato a rivedere le due fonti principali (per il trasportista) di informazioni sulla dotazione infrastrutturale, estremamente autorevoli: l’Annuario statistico italiano Istat, i cui dati ho aggiornato stanotte per presentarli qui, perché è ancora uscito in occasione della Conferenza nazionale di statistica dieci giorni fa; e un secondo documento che è il Piano nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, che mette assieme una quantità enorme di dati assolutamente attendibili. Vediamo questi dati.

Rete stradale riferita alla superficie territoriale: questa è la dotazione ricavata dall’annuario statistico italiano novembre 2004. Sono i chilometri di strada, classificati nei diversi modi (autostrade, statali, regionali, provinciali, raccordi autostradali, e poi io ho sommato i raccordi e le autostrade), e il totale: tutto ciò che è sovracomunale in Umbria. Si tende molto spesso a calcolare la dotazione di infrastrutture in termini di rapporto tra chilometri di strade e superficie territoriale della regione o del territorio di riferimento (chilometri diviso, in questo caso, diecimila ettari): se prendiamo questo dato, scopriamo che l’Umbria ha 0,7 km di autostrade ogni 10.000 ha, contro una media dell’Italia centrale di 1,92 e dell’Italia di 2,15: quindi siamo abbondantemente sottodotati di autostrade; può essere anche utile anche le regioni più vicine all’Umbria, la Toscana e le Marche, rispettivamente con 1,84 e 1,74. Per quanto riguarda le statali, invece, l’Umbria ha una dotazione che è inferiore alla media nazionale, ma che è superiore a quella dell’Italia centrale, ed anche a quella della Toscana: 4,23 km di strade ogni 10.000 ha. Per quanto riguarda le regionali, si vede benissimo come l’Umbria sia sovradotata: 13 km, contro la media dell’Italia centrale di 11, e una media nazionale di 8. Prendiamo le provinciali e scopriamo di essere grosso modo un po’ sottodotati. Abbiamo una quantità discreta di raccordi autostradali, che non sono autostrade, però assomigliano molto ad autostrade: in altri contesti, i raccordi autostradali pesano poco, ma in Umbria non è così, abbiamo una dotazione che, a parte la Basilicata, è la più alta d’Italia, e se noi sommiamo i raccordi con le autostrade, abbiamo qualcosa che riduce notevolmente il deficit dell’Umbria.

Il problema di fondo, però, è che non sono i territori a esprimere una domanda di mobilità: non sono i boschi, non sono i campi arati, non sono i suoli. La domanda di mobilità è espressa dalle persone, ed è espressa dalle merci. Allora la dotazione di  infrastrutture viarie deve essere rapportata non alla superficie: basterebbe pensare se dovessimo fare la dotazione viaria di Venezia, ci mettiamo dentro l’acqua? Fa parte della superficie, come della superficie dell’Umbria fa parte il lago Trasimeno. Su questo concordano tutti: concorda il Centro studi dell’Istituto Tagliacarne, concordano gli studi della Confindustria; Confindustria dice, negli studi sulla dotazione infrastrutturale delle province italiane, a cura di Ecoter, che la dotazione si misura rispetto a due cose: rispetto alla popolazione e rispetto al prodotto interno lordo. Vediamo cosa succede se usiamo, invece della superficie, la popolazione residente: se noi riferiamo, in modo più corretto, i chilometri di strade alla popolazione residente, scopriamo che l’Umbria ha una sottodotazione di autostrade (0,7 contro 1 dell’Italia centrale e 1,12 dell’Italia), però ha una dotazione di strade che è più del doppio dell’Italia centrale: 4,22, contro la media nazionale del 3,8. Se poi consideriamo le strade regionale, siamo sull’ordine di 13 km, contro i 5,90 dell’Italia centrale e i 4,12 dell’Italia. Le provinciali: in Umbria 32 km contro la media di 20. Se consideriamo i raccordi assieme alle autostrade, scopriamo che addirittura abbiamo una dotazione che è assolutamente sulla linea della media nazionale e un po’ superiore anche a quella dell’Italia centrale. Allora fatto 100 il totale di questa tipologia di strade, fatto 100 il totale dell’Italia, l’Umbria ha una dotazione di infrastrutture che è pari a 170 (normalizzate rispetto alla popolazione).

Mi sembra un dato interessante; però si dice che la sottodotazione di infrastrutture rappresenta storicamente un ostacolo allo sviluppo economico. E’ da un po’ di mesi che ritorna questo discorso dello sviluppo economico che si produce dalle infrastrutture: la carenza di  infrastrutture rappresenta la strozzatura per l’economia umbra, che non decolla perché mancano le strade. Allora vediamo che cosa succede facendo il rapporto tra chilometri di strade e il prodotto interno lordo (1 km ogni 10 mila milioni di euro); sto parlando di dati del novembre 2004. Anche in questo caso, mi sembra che la cosa sia abbastanza  interessante. Autostrade, Umbria 33 km contro 42 dell’Italia centrale; le statali, 201 contro 81 di media nazionale e 174 dell’Italia centrale; le regionali, 620 km contro 250 e 190; le provinciali, 1.540 km contro 840 dell’Italia centrale e 950 della media nazionale. Se mettiamo insieme raccordi e autostrade, allora da questo punto di vista abbiamo una dotazione che è superiore tanto alla media dell’Italia centrale che a quella nazionale.

Conclusione: quel 170 scarsi che avevamo visto prima nel rapporto con la popolazione, diventa in questo caso 176. Cioè, fatto 100 l’Italia, l’Umbria ha una dotazione di infrastrutture riferite al proprio prodotto interno lordo pari a 176.

Piccola notazione: le strade rappresentano il tappo allo sviluppo, la strozzatura all’economia. Ebbene, come potete notare, fatto 100 l’Italia, l’Umbria ha 176, e la Lombardia ha 34. Interessante vedere anche il dato del Sud, che ha un alta dotazione infrastrutturale nonostante lo scarso sviluppo. Ebbene, questa era la vecchia idea degli anni Sessanta, che lo sviluppo si portasse attraverso l’infrastrutturazione del territorio: ebbene, gran parte del Sud è stato infrastrutturato, ma lo sviluppo non c’è stato. Anzi, le aree più sviluppate dal punto di vista del prodotto interno lordo pro-capite sono anche quelle meno dotate di infrastrutture, ma in maniera clamorosa, non leggermente sottodotate: parlo della Lombardia con 34, parlo del Veneto con 64… E’ abbastanza evidente.

Io spero che non si continui con questo discorso: l’Umbria è senza strade. Non è vero, da nessun punto di vista.

Questo è il Conto nazionale dei trasporti, presentato il 23 giugno di quest’anno dal Ministro Lunardi; i dati sono riferiti al 2002, e anche in questo caso il rapporto tra rete stradale (strade provinciali, strade statale, autostrade) viene riferito non alla superficie (viene messa anche la superficie), ma in primo luogo agli abitanti: ed abbiamo esattamente le stesse cose che abbiamo visto prima. Qualcuno potrebbe dire: l’Umbria ha molte regionali e provinciali, ma mancano le comunali. Ecco, in questo Conto abbiamo la dimostrazione che l’Umbria si pone ai vertici della scala nazionale anche in termini di strade comunali, siano esse urbane o extraurbane o vicinali. Su questa colonna abbiamo: totale strade per 10.000 abitanti, Italia settentrionale 100; Italia centrale 120; Italia meridionale 134, ancora una volta a confermare il dato su riportato; totale Italia 116; Umbria 250.

Qualche altro dato; cambiamo capitolo: consumi, stili e percezioni. Famiglie che dichiarano di possedere beni durevoli per regione e ripartizione geografica (elaborazione mia su dati Istat 2002-3). Lavastoviglie: in Umbria 37, contro 39 dell’Italia centrale; lavatrici 97, siamo ben dotati, lo stesso vale per i videoregistratori; videocamere 22 contro le 23 dell’Italia centrale; impianti alta fedeltà, siamo sulla media; condizionatori e climatizzatori, 4,3 contro 8 dell’Italia centrale e 8,1 nell’Italia; biciclette, motociclette, buona dotazione. Dato eclatante: famiglie che possiedono almeno 1 automobile, 85,8% in Umbria, contro una media dell’Italia centrale di 80 e un valore di 78,5 per l’Italia. Vi vorrei far notare che l’Umbria è al primo posto,  nessun’altra regione ha una dotazione di automobili per famiglia così elevata. Le famiglie che hanno più di una automobile sono in Umbria il 48,8%, cioè quasi il 50%, contro una media dell’Italia centrale del 38, 2% e dell’Italia del 33. Come si vede, anche in questo caso siamo ai vertici nazionali.

Torno ai dati del Conto nazionale dei trasporti. Veicoli circolanti (esclusi ciclomotori)nelle regioni per abitante: siamo ai vertici: Umbria 0,83; c’è solo la Val d’Aosta, che è in una condizione particolare. Mi sembra di qualche interesse questo dato per far capire che è un fenomeno di media o lunga durata, ma che assunto le dimensioni attuali negli ultimi dieci anni, tra il Novanta e il 2002: forse le politiche locali hanno avuto un qualche effetto in questo senso.

Vediamo qual è il grado di soddisfazione per il pulmann pubblici: vado veloce, ma vorrei far notare che gli utenti molto o abbastanza soddisfatti per: frequenza delle corse, puntualità, possibilità di trovare posto a sedere, ecc., in Umbria sono sempre molto al di sopra della media nazionale ma anche delle regioni contermini: cioè abbiamo un servizio di trasporto pubblico su gomma del quale gli utenti sono tra i più soddisfatti d’Italia (ci batte solo la provincia di Bolzano, ma hanno altre condizioni). Insomma, siamo a livelli altissimi: 30% in più per la comodità dell’attesa alle fermate, ecc.; ipersoddisfatti, i più soddisfatti d’Italia. Ma quanti sono gli utenti? L’8,5% della popolazione: non c’è nessun’altra regione che vada sotto il 10%. Stesse considerazioni, anche se un po’ più mitigate, le possiamo fare sul livello di soddisfazione, per quanto riguarda il treno.

Vediamo come si comportano i bambini e gli studenti per andare a scuola: quelli che usano l’auto come conducente sono lo 0,34% in più della media nazionale: 11,5. In questo caso, non c’è nessun’altra regione che vada sopra il 10%. Stessa cosa per andare al lavoro: l’86,2% delle persone in Umbria, per andare al lavoro, usa l’auto: nessun’altra regione ha un dato così elevato. Sulla questione del treno, volevo far notare che siamo in una regione che, anche se consideriamo solo le 15 stazioni della rete ferroviaria considerate dal Piano regionale dei trasporti, il 30% della popolazione può raggiungere una stazione ferroviaria in meno di 10 minuti; il 60% può raggiungere una stazione ferroviaria in meno di 20 minuti.

Allora siamo una regione piena di strade, e piena di auto. Ma se continuiamo a fare strade, allora c’è qualche problema: per esempio, c’è un problema di congestione. Vediamo allora cosa ne dicono le famiglie (dati 2003 dell’Istat), cioè il giudizio espresso sulla zona in cui abitano: parliamo di problemi molto o abbastanza presenti.

Difficoltà di parcheggio: 27%; media dell’Italia centrale 43%, media dell’Italia 41: non è il parcheggio il problema per gli umbri.

Difficoltà di collegamento con i mezzi pubblici: 30,7%, contro il 32 in Italia centrale e il 29 in Italia: siamo sulla media nazionale e al di sotto della media dell’Italia centrale.

Traffico: il 36,7% degli umbri dichiara di percepire, come problema della zona, il problema del traffico: non è un valore basso, ma è uno dei più bassi d’Italia; nell’Italia centrale è il 51%, in Italia è il 48.

Inquinamento dell’aria come se non esistesse: 23% nella percezione degli umbri.

Quindi nella percezione degli umbri non c’è problema di traffico, non c’è problema di inquinamento dell’aria, non c’è problema di rumore: sto cercando delle ragioni con cui giustificare il bisogno di infrastrutture.

La percorrenza media della popolazione si sta riducendo. Il chilometraggio medio delle merci trasportate dagli umbri con mezzo proprio è di 66,9 chilometri; rispetto a chi pensa che abbiamo bisogno di collegarci con Kiev o Mosca, dato che tutte le strategie sono i grandi collegamenti, si vede che le merci viaggiano per 67 km con mezzi aziendali propri, 218 km quelle trasportate per conto terzi. Complessivamente siamo sull’ordine dei 152 km.

Vediamo ora le opere: sulla carta si vedono le infrastrutture strategiche deliberate dal Cipe nel dicembre 2001: credo che siano in qualche modo la trascrizione, un po’ più seria, della cartina fatta da Vespa. Possiamo notare una cosa: do questo insieme di grandi opere, l’Umbria una regione che ha beneficiato in misura massiccia; c’è una particolare concentrazione di opere, qui, rispetto agli altri territori; qualcosa di analogo troviamo solo a Milano. Se poi però andiamo a vedere che cosa realmente si sta facendo in termini di opere stradali e autostradali nel sito del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, scopriamo che le opere stradali e autostradali che sono presentate nel sito sono: collegamenti con la nuova Europa, cioè corridoio Lisbona-Kiev, Ponte sullo Stretto, … Poi abbiamo il progetto della rete autostradale, il raccordo anulare, la Salerno-Reggio Calabria, l’autostrada Asti-Cuneo, l’autostrada della Sicilia, … Poi abbiamo il potenziamento della viabilità di interesse nazionale: la statale Ionica, e poi due cose in Umbria, sull’asse viario Marche-Umbria, il Quadrilatero e la Grosseto-Fano. Molte di quelle cose che vedevamo prima sono sparite, in pratica, o almeno non sono più in agenda; se poi vediamo questo vediamo che l’Umbria è diventata un luogo privilegiato. Allora vediamo gli interventi della legge obiettivo:  abbiamo la Due mari, la Grosseto-Fano, il Quadrilatero, che è l’insieme di questi interventi, da Valfabbrica alla Val di Chienti alla Val d’Esino, la Tre valli umbra, e la Terni-Rieti. Poi la Regione ha inserito anche il nodo di Perugia, che in realtà non era nella legge. Accanto a questo, vediamo le opere in corso di realizzazione  e progetti di interesse regionale: in corso di realizzazione sono diverse, inutile elencarle tutte; le strade di interesse regionale: la Umbertide-Mocaiana-Gubbio, ecc.

Vediamo nel dettaglio. La Grosseto-Fano: nel sito si può vedere la soluzione di come la strada verrà realizzata in questa tratta, come si inseriscono queste opere  in contesti che hanno un qualche interesse paesaggistico. Ovviamente, questa è una infrastruttura che serve a collegare… il mondo! La dorsale tirrenica con quella adriatica; nel sito del Ministero, l’unica cartina disponibile su queste grandi opere è questa; è la cartina che ha realizzato un laureando in ingegneria di Bologna per la sua tesi di laurea. Si tratta di una strada a quattro corsie, 19 metri, in due tracciati separati, ecc.

Sul Quadrilatero, si può scaricare un filmato sul sito del Ministero, perché a mio avviso è molto autoironico. Che cos’è il Quadrilatero? 158 km per la viabilità tra Marche e Umbria; la Quadrilatero è una società, che è già stata costituita, che realizzerà l’opera con procedure del tutto speciali, con procedure di snellimento delle autorizzazioni, sostanzialmente esautorando gli enti locali da un reale potere di intervento, o quanto meno gli enti comunali, facendo una cosa che si chiama il project financing, anche se di project financing c’è molto poco: in altre parole, viene realizzato in misura quasi totale con il finanziamento del Cipe, Anas, ecc., e nella misura del 19% con fondi ricavati in ambito locale, in maniera in qualche maniera obbligata. Questa strada, ed è una specie di progetto pilota, per la prima volta almeno in Italia, viene finanziata, quanto meno nella misura del 19%, con l’incremento dei valori degli oneri di urbanizzazione, secondo questo meccanismo: io realizzo la strada, e quindi favorisco l’urbanizzazione, e posso realizzare nuove aree industriali. Queste mi daranno un gettito fiscale, quello degli oneri di urbanizzazione e poi del gettito dell’Ici; ebbene, questo gettito mi finanzia la strada. C’è già un accordo per cui gli oneri di urbanizzazione andranno alla Quadrilatero, ma andrà alla Quadrilatero, per i prossimi trent’anni, tutto il gettito dell’Ici derivante dalla realizzazione di questa area industriale che peraltro era prevista prima della Quadrilatero, cioè indipendentemente da essa. Praticamente si capitalizzano i benefici futuri. Le forme di finanziamento sono, nell’ordine: l’incremento del gettito dell’Ici generato dai nuovi insediamenti produttivi; l’incremento della tassa di  iscrizione alla Camera di Commercio, generato dalla maggiorazione della tassa per tutti gli iscritti; ricavi dagli oneri di urbanizzazione; contributi agli oneri di infrastrutturazione, che non si capisce bene cosa sia, o è una cosa che non esiste, solo la Regione Marche ha qualcosa del genere; ricavi da concessioni per lo stabilimento di attività sulle aree Leader, che sono particolari aree industriali che vengono realizzate in area rurale, sempre in nome dello sviluppo; infine il gettito dei diritti per il passaggio di infrastrutture di servizio. Spero però che non si conti troppo su questo, ormai non c’è più il filo che passa lungo le strade, nel giro di pochi anni passeremo a sistemi che scavalcano il filo.

Adesso ci sarebbe il Nodo di Perugia, ma rischio di andare troppo per le lunghe.

Vorrei invece entrare nel merito della E45. Fonte Anas: l’Anas ha costruito degli scenari, prima delle decisioni ultime, relative alla riqualificazione della E45; il tono è enfatico: “non soltanto una via di trasporto, ma soprattutto una garanzia di sicurezza e di servizi”, insomma, assolutamente poco tecnico; prende in considerazione il potenziamento della infrastruttura confrontandosi con una serie di criticità di tipo ambientale, urbanistico e aeronautico, che dovranno essere risolte; e si pone il problema della variante appenninica: tratta di attraversamento appenninico, da Pieve S. Stefano a mercato Saraceno, circa 60 km., si dice: siamo in un contesto dove, da un punto di vista orografico e  ambientale, particolarmente pregiato e delicato, si suggerisce che, visto che ci sono problemi ad  adeguare l’infrastruttura esistente, è meglio realizzarne una nuova. Naturalmente si parla di 7,6 km di galleria, viadotto 27 km., 10 svincoli. Altra dimensione: la variante di Deruta. L’E45 passa su territori urbanizzati, talvolta densamente, non è possibile ampliare, si propone la variante di Deruta perché in zone densamente urbanizzate conviene realizzare una variante.

E poi abbiamo le zone di pregio ambientale: “nelle zone di criticità ambientale saranno utilizzate tutte le più moderne tecniche costruttive e di reinserimento territoriale ad oggi disponibili” (...).

Sulla E45, il traffico giornaliero medio nel 2002 è pari a 16500 veicoli: vorrei far notare che il dato va diviso in due, da Orte allo svincolo di Assisi (cioè Collestrada), e dallo svincolo di Assisi-Ravenna. Lo svincolo di Assisi normalmente è interessato da 22300 veicoli. Le previsioni sono di passare da 22 a 39000 mezzi. Questo può essere un dato di qualche interesse, quando si dice che non saranno gli Umbri o gli abitanti di Assisi che produrranno questo incremento del traffico, sarà il traffico di attraversamento, già quantificato; e stiamo parlando di previsioni al 2020, non al 2100: fra quindici anni. L’analisi finanziaria dimostra scarsa convenienza, con i rientri da pedaggio, a realizzare - per un gestore privato - la riqualificazione della E45: si propone quindi che il settore pubblico intervenga mettendo a disposizione un contributo, che permetta al gestore privato di ottenere un tasso di rendimento adeguato, cioè il 12%, sul capitale investito.

Costi: Tra le varie soluzioni prospettate, adesso si parla di soluzione autostradale; il problema è se si fanno le gallerie o meno: dai 2.500 ai 3.000 milioni di euro, indicativamente. Tali costi saranno suscettibili di incremento nel caso in cui si decidesse di realizzare la variante appenninica (fonte Anas).

 

Evaristo Petrocchi, Italia nostra: L’analisi che ha fatto Sartore, molto interessante, e che dà una visione anche molto tangibile del fenomeno, che tante volte è sconosciuto al pubblico, dimostra che quello che quello che si vuole realizzare non è la viabilità in generale, ma un certo tipo di viabilità, che favorisce l’economia globalizzata: cioè non la viabilità interna, quella che favorisce la qualità della vita, ma una viabilità che consente di inserire sempre di più l’Umbria in un crocevia di strade nazionali e internazionali, nella convinzione che questo porti lo sviluppo, senza peraltro approfondire che tipo di sviluppo sia. Nessuno è contrario allo sviluppo, ma, come oggi accade spesso, ci si mette dietro a dei luoghi comuni, senza analizzare qual è lo sviluppo che effettivamente si vuole.

Allora fermiamoci un attimo a riflettere su che cosa è da contestare. Secondo noi è da contestare proprio la scelta culturale di questo modello di sviluppo. Che cosa significa fare più strade di questo tipo, più autostrade? Significa aumentare l’inquinamento, aumentare il traffico, aumentare un certo tipo di percorribilità, cioè la percorribilità veloce, sviluppare il traffico di merci su gomma, aumentare inevitabilmente il turismo di massa. Quindi, fare più parcheggi funzionali a questi tipo di sviluppo. Una volta, le strade portavano all’apertura di traffici, commerci, scambi di cultura, erano la forza organizzativa di un popolo, erano il miglioramento delle condizioni di vita, anche economiche. Ma oggi questo tipo di viabilità porta all’accentuazione della tendenza a scavalcare i territori, interi territori, ad arrivare esclusivamente alle città più importanti, escludendo i luoghi cosiddetti minori, che minori non sono: ma l’Italia è questo, non è fatta solo di grandi città; significa incentivare quel flusso turistico che parte da Roma e fa il solito circuito Assisi, Siena, Firenze, Venezia, quel turismo mordi e fuggi che consente in cinque minuti di vedere tutta Italia quando in realtà non si è visto assolutamente nulla.

Quindi, va bene creare strade più sicure, favorire le opere di moderna ingegneria edile per sviluppare il territorio e non isolare l’Umbria dall’economia contesto europeo e mondiale, ma tutto questo per quale modello? Quello di arrivare dappertutto in poco tempo? Quindi noi dobbiamo riflettere sul modello culturale dell’Umbria, che deve precedere e non seguire lo sviluppo della viabilità. Prima chiariamo qual è il modello di sviluppo dell’Umbria dal punto di vista della politica culturale, e su quello vediamo come va costruita la viabilità. Così com’è concepita, la viabilità dipende solo da un modello: un modello esclusivamente economico, non culturale: noi invece vogliamo che sia un modello culturale.

E il modello culturale è il paesaggio. Il paesaggio non è una cosa astratta o teorica: il paesaggio è fatto di colori, di odori, di coltivazioni  e di culture, di profili dei luoghi, di morfologie del territorio, di fiumi, di laghi, di boschi, di olivi. E allora quando si fanno opere di questo tipo bisogna chiedersi qual è l’incidenza della nuova viabilità sul nostro paesaggio: ma questa non è una dissertazione puramente teorica o politica, è una dissertazione che si può fare anche a livello tecnico; ci sono gli esperti, si fanno studi scientifici su questo, si potrebbe fare un’analisi costi-benefici, si può e si deve riaprire il dibattito su questi temi.

Quando si pensa di trasformare la E45 in autostrada, ci si dovrebbe domandare come incide su questi aspetti del paesaggio, su tutto quello che è la nostra cultura. Studi di questo tipo non vengono mai fatti. Lo stesso vale per il paesaggio dei centri storici: è noto che l’Umbria è caratterizzata dalla bellezza dei grandi centri storici: Assisi, Gubbio, Spoleto, Perugia… Perché quando si fa la valutazione di impatto ambientale si fa una analisi soltanto formale del presunto contrasto che ci può essere fra un’opera e il contesto? Perché non si analizza il contesto culturale in cui quell’opera viene inserita? Noi voglia o che venga riaperto il dibattito su questi temi: il dibattito deve essere riportato alle sedi della politica culturale e non a sedi formali.

E’ noto che questi interventi nascono in buona parte dalla legge obiettivo, la Legge 143 del 2003 e il decreto attuativo 190: una legge che fonda le decisioni fondamentali su un particolare modulo, in cui da una parte lo Stato e il Cipe e dall’altra la Regione si mettono d’accordo e decidono di fare queste opere, escludendo completamente le conferenze dei comuni che hanno solo voce consultiva, di nessuna rilevanza; quindi un  luogo essenzialmente formale dove si incontrano i vari poteri e dove si spartiscono i finanziamenti in base alle proprie influenze politiche: quindi in nome della logica degli interessi. Per questo vengono fuori opere trasversali, dal punto di vista politico, perché, come in Umbria, sono opere che vengono finanziate dal Cipe e dal Governo ma vengono realizzate dal governo regionale di centro-sinistra; e questo avviene un po’ in tutta Italia, perché l’economia e il profitto accomunano tutti, senza che questo porti benessere.

Concludo dicendo che bisogna ripartire dal valore zero. Noi stiamo assistendo in Umbria, come in altre parti d’Italia, e per questo stiamo combattendo come Italia nostra, a un modello di sviluppo che, in nome della logica dell’economia, pretende di coprire gli spazi che invece appartengono alle coscienze, alla cultura: e quindi dobbiamo invertire questo processo.

E’ un paradosso: ad esempio, a Spoleto, si costruisce la bretella dello svincolo sud perché ci sono altre strade che porteranno altro turismo di massa dall’est, e quindi dobbiamo essere pronti a riceverlo; ma è chiaro che il turismo di massa arriva perché costruiamo nuove strade: in realtà è un cane che si morde la coda, perché non c’è nessun dibattito su a che cosa è finalizzata questa scelta. Noi vogliamo riportare il dibattito su questo punto fondamentale.

Se non riusciamo a spingere i governanti a ritornare a ragionare su questi temi, avremo fallito, rimarremo sempre nel ghetto di quelli che si oppongono a uno sviluppo che sembra necessitato ma che necessitato assolutamente non è.

 

Karl-Ludwig Schibel, Alleanza per il clima e Fiera delle Utopie concrete: Permettetemi innanzitutto una osservazione critica: sono qui per ascoltare Mariano Sartore, i presidenti della associazioni ambientaliste di questa regione, però in riunioni di questo tipo - e su questo vorrei fare la mia riflessione di stamattina - il problema è che siamo tutti d’accordo, nessuno di noi ha fatto salti di gioia quando è stato rieletto Bush, nessuno qui in sala pensa che l’incenerimento dei rifiuti sia una soluzione ideale per i rifiuti tali e quali; nessuno di noi considera le grandi opere un beneficio per le zone che attraversano; e suppongo che tutti noi prendiamo sul serio la minaccia dei cambiamenti climatici. Quello che ci manca è di ascoltare i rappresentanti delle associazioni imprenditoriali, che questa mattina non ci sono, delle Camere di commercio, dei partiti politici, di esperti dentro le istituzioni che muovono dalla filosofia del più, più grande, più veloce, più ampio, ecc. Questo è quello che abbiamo cercato di fare alla Fiera delle Utopie concrete di quest’anno quando abbiamo parlato di mobilità sostenibile; ho invitato Mariano Sartore a discutere con la responsabile della Regione Umbria.

Mi manca un dibattito in cui non tutti sono d’accordo tra di loro: non nella speranza di convincere qualcuno, no, questa è una speranza illuministica che io non ho, anche se ascolto con grande piacere il tuo discorso di pochi minuti fa, quando dici “noi” vorrei chiederti: chi è “noi”? Io lo sento come un noi appellativo, noi non possiamo, noi dobbiamo: ma chi? Quindi non un dibattito con la speranza illuministica che io possa convincere gli altri, ma per capir meglio il ragionamento di quelli che promettono nuove ricchezze nella zona di Tavernelle con la costruzione di un distretto industriale: come ragionano? Come cercano di spiegare a me e agli altri che saranno più ricchi,  più benestanti, se attorno alla Centrale di Pietrafitta si costruisce tutto un quartiere industriale. Questa mattina io mi sento un po’ vecchio: avevo cominciato con la Fiera delle Utopie concrete nell’88; al tempo che cosa era importante? Era importante, ed è la storia delle associazioni ambientaliste di quei tempi, le denunce per mettere in evidenza i fatti criminali di inquinamento, di avvelenamento, di incompetenza, di corruzione. Tutto questo c’è ancor oggi, e ci serve la denuncia: ma quello che serve soprattutto è una visione coerente e credibile che un altro mondo è possibile. E’  quello che noi cerchiamo di fare alla Fiera delle Utopie concrete, o a Terra futura, che è una iniziativa a Firenze alla quale vi consiglio di andare, dal 7 al 9 di aprile, o Fai la cosa giusta di Milano: cioè queste iniziative che sono nate, a parte la Fiera, negli ultimi anni, nel tentativo di presentare una visione coerente di come ci immaginiamo un mondo diverso. Quello che stiamo chiedendo quando ascoltiamo questa relazione è non che gli uni hanno ragione e gli altri sbagliano sono modelli di vita, modelli di sviluppo che si trovano in concorrenza fra loro; non c’è niente da convincere: non è che noi sappiamo e gli altri non sanno, per questo dobbiamo condividere i nostri saperi, alla fine tutti sappiamo le stesse cose e da lì in poi faremo le cose giuste. Se solo fosse così! Le grandi opere sono la illustrazione eccellente di questo conflitto decisivo per il nostro futuro tra modelli di sviluppo.

Rimaniamo sul tema della mobilità. John Whitler, un grande esperto inglese di trasporti, recentemente in un suo editoriale scrive della coesistenza tra buona ricerca e cattiva politica; lui lo fa in modo molto polemico, io lo riassumo molto brevemente. Lui dice: Non abbiamo fatto la ricerca in dettaglio; abbiamo anche delle sperimentazioni, dei casi studio, e sappiamo che cosa funzione e sappiamo di come arrivare, nel campo della mobilità sostenibile, a un equilibrio armonico, a una situazione più equilibrata tra i vari modi di trasporto e di mobilità: come garantire l’accessibilità, come ridurre i gas serra, come aumentare la sicurezza. Tutto questo lo sappiamo; potenzialmente sappiamo tutte le buone cose e come funzionano, e i potenziali per applicarle in determinate situazioni. Esiste questo grande corpo di ricerca, di cui abbiamo sentito adesso una parte importante e consistente da Mariano Sartore, e questo corpo di sapere coesiste con una pessima politica: e c’è molto poca comunicazione. Una pessima politica che con brutalità punta sempre su queste soluzioni, di cui noi sappiamo che non funzionano: più strade non sono la soluzione del traffico, ma aumentano puntualmente il traffico; questo è vero per il traffico, per la mobilità, per la produzione di energia: le grandi centrali aumentano il consumo di energia; ed è vero per gli inceneritori, che aumentano la quantità dei rifiuti.

E’ quindi un problema gigantesco, filosofico ed ideologico. Si può anche far vedere ai politici come funzionano queste soluzioni, dalle città più grandi ai piccoli villaggi rurali, e loro sempre diranno sì, sì, sì, ma tutti realmente abbiamo bisogno della macchina e non dobbiamo dare l’impressione di mettere delle restrizioni sulla macchina, sull’accessibilità in macchina, in genere sull’uso della macchina. Sì, sì, sì, ma tutti abbiamo bisogno dell’energia, e con il clima che cambia ci vogliono degli impianti di aria condizionata, almeno per le persone anziane che muoiono dal caldo in estate, e quindi dobbiamo avere più centrali elettriche, dobbiamo a vere a disposizione più energia.

Quindi ci vogliono le ricerche, e ci vuole la divulgazione, e ci vuole la denuncia: però non nella speranza di convincere quelli che stanno nelle posizioni decisionali di fare in modo diverso; l’appello a quelli che decidono: ascoltate, per poi fare in modo diverso, secondo me è una manovra del tutto gratuita, futile, perché prima di tutto non possono permettersi di ascoltare, anche per le ragioni che abbiamo sentito prima sugli interessi economici che sono troppo pesanti: le autostrade: molti soldi! gli inceneritori: molti soldi! E anche quando ascoltano, non possono fare in modo diverso. Cioè, dobbiamo spiegare a loro e a noi stessi che ci sono altri modi di fare: dobbiamo presentare progetti più validi, soluzioni più attraenti, ma la forza per la loro realizzazione arriva, se arriva, non da questi discorsi illuministici, ma da un’altra attività, che è di mobilitazione dal basso.

Vi sembra un po’ troppo ovvio? Forse non è così ovvio. Cerco di spiegarmi con l’esempio degli inceneritori. A me, per tanti anni, puntualmente mi dicono (perché io sono contro gli inceneritori e sappiamo che oggi diventa sempre più difficile e dopo la legge che ha fatto Edo Ronchi è diventato ancora più difficile essere contro gli inceneritori): ma tu che sei tedesco dovresti sapere che proprio in Germania ci sono degli inceneritori proprio al centro della città, a Duisburg, ad Amburgo, a Vienna che è in Austria: se loro, le cittadini e i cittadini tedeschi che sono così attenti all’ambiente, hanno questi impianti nelle loro città, così male non possono fare. L’immagine che nasce è che, sì, una volta gli inceneritori avevano un problema di diossine, ma oggi l’aria che emettono è quasi più pulita di quella che entra, perché questa comunità illuminata di scienziati, studiosi e ingegneri, hanno fatto sì che negli ultimi anni questi impianti hanno fatto grandi progressi e oggi sono una meraviglia tecnologica: l’aria che esce dai camini ha il profumo delle rose. E questi bravi ingegneri e studiosi, con le tecnologie avanzate, insieme a degli imprenditori illuminati, che chiaramente  devono anche fare profitto ma vogliono il bene dell’umanità, insieme a una politica altrettanto illuminata, hanno fatto sì che tu ambientalista, e voi cittadini, non vi preoccupate più di tanto, perché ne prendiamo cura noi, fidatevi. Ed è questa l’illusione del progresso scientifico che quasi automaticamente ci fa stare tutti sempre meglio.

In realtà, le cose non sono affatto andate così: si potrebbe costruire la storia della costruzione degli impianti di incenerimento in Germania come una storia della resistenza contro questi impianti: non c’è stato un unico impianto dove non ci sia stata una resistenza accanita della popolazione intorno. I miei genitori ad Augusta, in Germania, che prima votavano liberale, da lì in poi hanno votato i Verdi, ma non solo: per la prima volta in vita loro si sono impegnati in un comitato, quando stava per nascere l’impianto di incenerimento a tre chilometri di distanza. Tutti questi impianti sono nati con i cittadini e le cittadine che si sono opposti, in molte situazioni hanno avuto successo e l’impianto non è stato fatto; nelle altre situazioni, come esempio concreto di quando io dico che se qualcosa cambia, è perché c’è un’attività dal basso, prendiamo l’esempio di un inceneritore ad Amburgo, non nel centro della città ma nel porto, che puntualmente viene presentato come uno di questi impianti favolosi esemplari: ed è anche vero, perché loro che hanno una gestione assolutamente trasparente, per cui in tempo reale si possono vedere in internet tutti i valori delle emissioni; ad esempio, prendiamo l’anidride solforosa: la legge tedesca, che è già più severa della legge europea, permette di emettere duecento milligrammi di anidride solforosa al metro cubo, ma la centrale di Amburgo ha come valore massimo la metà, cento milligrammi. Bravi questi gestori! No, perché i cittadini lì attorno hanno detto: questo impianto non lo costruite se non dimezzate le emissioni. E questo era il risultato di una lunga battaglia che all’inizio sembrava che non si potesse far niente; ma ad Amburgo la cittadinanza, che è già abbastanza democratica e ben informata, benestante e di sinistra, ha costretto il Senato e il gestore a dimezzare i valori di emissione rispetto a quelli di legge. Quindi è vero che questo impianto ha dei valori che si potrebbero descrivere come accettabili, ma non come risultato di un processo di riflessione di una comunità di studiosi illuminati, di una politica che vuole il bene comune, di imprenditori che non cercano solo il profitto ma anche il benessere: ma di una lotta decisa. Molti di questi comitati hanno fatto sì che questi inceneritori non sono stati costruiti; altri, se uno guarda oggi dove sono collocati e che cosa producono, questo ha poco a che vedere con il grande progresso della scienza. L’anidride solforosa si abbatte con l’acqua ammoniacata: questo si sa da centocinquanta, duecento anni, non è un’invenzione dell’altro ieri; il problema è che per raggiungere certi livelli di abbattimento c’è bisogno di certe quantità di ammoniaca, che costa. E’ un semplice problema di costi: se io gestisco un impianto, tenere il livello di abbattimento molto basso mi costa: il carbone attivo costa mille euro a tonnellata. Quindi gli equilibri che si formano non hanno niente a che vedere con problemi tecnici, hanno a che vedere con equilibri di potere, di resistenza, di accordi: è questo che vorrei sottolineare.

Lì, devo dire che mi deprime un po’ il paesaggio; non parlo dell’Umbria perché vi lavoro e abito; vado in un’altra regione; una settimana fa sono stato a Bologna all’assemblea nazionale del Nuovo municipio, una rete molto brava, che mi piace molto, in Umbria ne fanno parte Gubbio ed Umbertide, erano 600-700 persone, quindi c’è un grande interesse su questo tema della partecipazione; e sono rimasto abbastanza depresso perché nell’introduzione Cofferati, grande fautore della partecipazione, ci ha detto: Sapete, nelle città medie italiane, la partecipazione è più facile, perché non è così difficile avere un appuntamento e parlare con il Sindaco, e io sono molto vicino ai cittadini. Io sono rimasto un po’ male, perché a lui sembra che partecipazione significa che io ho la possibilità di indirizzarmi verso il sovrano: che ci potrebbero essere a Bologna dei quartieri dove la gente, con in mano la propria situazione, la gestisce e non ha bisogno di parlare con il sindaco perché sta facendo il proprio interesse, questo non è tipico di questa mentalità; e Cofferati mi sembra uno dei più bravi.

Quindi il problema esiste sulla sinistra come sulla destra, e in Umbria io vedo una realtà diffusa di cittadini e cittadine attenti, di una opposizione molto articolata anche a quello che sta succedendo, non per ultimo attraverso uno strumento come quello di Renzo Zuccherini, “Camminare”: quello che mi sembra che manchi è di capire bene come mettere insieme queste forze, sicuramente non per convincere quelli che devono decidere, ma di dare loro la possibilità di seguire anche a volte quello che loro sanno, come lo sappiamo noi, che loro non sono in grado di fare se non hanno una ben forte pressione dalla base.

 

Antonella Pulci, Presidente Wwf Umbria: Io vorrei riferirmi alla nostra prospettiva di azione, vale a dire che vorrei presentare una parte pratica di quello che stiamo attuando come associazioni ambientaliste ed altri soggetti. Quando Karl parla di politici che dovrebbero attuare una gestione trasparente, forse in Germania abbiamo la presenza di forze che possono fare delle pressioni, ma in Umbria io conosco tutti i presenti, siamo tutti amici, ci vediamo continuamente, quindi sappiamo quello che succede, in Umbria e a Perugia, quando sopra le nostre teste passano progetti di miliardi e miliardi e nessuno di noi sa che passerà una autostrada, tanto più nel proprio pezzo di terra che verrà espropriato. Allora l’intento nostro, che oggi lanciamo pubblicamente, è quello di creare una rete che abbiamo pensato di chiamare ECORETE UMBRIA, cioè di accomunare tutti quei soggetti, come le associazioni ambientaliste, che come vedete da due-tre anni escono sempre insieme, compatte, perché hanno capito la necessità di unirsi. Potremmo essere d’accordo su alcune cose, un po’ meno su altre; io porto a testimonianza di questo, se mi passate la battuta, il problema che potremmo avere con Arcicaccia, quando andremo a parlare di caccia: ma penso che con Arcicaccia potremo tranquillamente parlare di infrastrutture o di altri problemi come l’energia alternativa fatta in maniera sciagurata in certe situazioni, e Arcicaccia ci ha dato ragione e abbiamo trovato “sponda”.  Oggi a mio avviso la conclusione del nostro seminario dovrebbe essere quella di proporre la nostra visibilità in modo sempre più forte. Io chiedevo prima a Mariano Sartore, che ringrazio sempre per la disponibilità, per la professionalità, per la trasparenza e soprattutto per i dati inconfutabili: sono dati che noi citiamo e che non possono essere smentiti perché sono fonti ufficiali; Mariano si è reso nuovamente disponibile per fare un piccolo dossier sul problema delle opere infrastrutturali in Umbria.

Abbiamo creato un atteggiamento di collaborazione e di sostegno, e i comitati hanno una forza che è sorta proprio per il discorso della gestione della politica, quindi serve oggi spingerci tutti insieme a fare delle manifestazioni, ad intervenire presso i politici, che penso oggi cominci a dare noia, perché se sono le solite rompiscatole delle tre associazioni, finisce lì; ma quando alle associazioni cominciano ad unirsi i comitati, altre associazioni e cooperative sociali, e altri gruppi, con i quali su specifici problemi siamo compatti, io penso che cominceremo a vedere il cambiamento ed anche a trovare quei personaggi illuminati del mondo politico che possano recepire le nostre volontà.

Se poi parliamo di potere economico, la mia riflessione è che se c’è un progetto come la E45, dove c’è un litigio tra Bonsignore e Benetton per avere la gestione di questo tratto, significa che qualcosa rende: non a caso Sartore parlava del 12% di rendimento del capitale investito in queste opere: e cito un articolo che dice: “Autostrade S.p.a. nei primi tre mesi del 2004 ha registrato un utile netto derivante dai pedaggi da far invidia anche ai petrolieri del Dubai”: e se Bonsignore e Benetton spingono sui giornali la Lorenzetti a fare questa infrastruttura non con una considerazione politica e culturale di gestione razionale del territorio, per la fruibilità della regione non da parte del turismo di massa: il nostro dovrebbe essere un turismo ecosostenibile ed eco-compatibile; abbiamo il fior fiore dei comuni cui viene riconosciuto nel quadro nazionale di essere tra i più belli, attivi e caratteristici.

Allora io ribadisco la mia riflessione: uniamoci, facciamo questo mini-dossier, incateniamoci, non so, partecipiamo alla manifestazione di gennaio dei comitati a Perugia, è un appello che io penso sempre necessario: uniamoci, uniamoci, uniamoci!