Le origini di Fratta

Nulla conosciamo della presenza dei nostri progenitori sul toppetto di conglomerato, scolpito nel corso dei millenni dal Tevere e da due suoi affluenti: un ciuffo di querce arroccate al di sopra delle acque e del greto che lo circondavano in ogni lato, nel mezzo della valle immersa nei boschi.

La presenza del fiume, fonte di vita e via di collegamento, ha certamente invitato a fermarvisi i primitivi alla ricerca di nuovi spazi: ma le esili tracce dei reperti trovati non attenuano il buio che pervade i tempi delle comunità degli Umbri e degli Etruschi.  Neanche dei secoli durante i quali il luogo era immerso nell’immensità dell’impero romano, sono pervenuti segni in grado di diradare le nebbie su dettagli della loro vita.

Il primo segno importante di un insediamento risale al medioevo, quando il toppetto si è venuto a trovare lungo l’asse Roma - Ravenna (corridoio bizantino), assumendo rilevanza strategica come punto di osservazione e di difesa. Risale probabilmente a quel periodo (VII secolo d.C.) una torre posta sul cocuzzolo in corrispondenza della platea dell’attuale teatro, le cui fondazioni, emerse durante dei lavori del 1986, sono state notate, rilevate e documentate da Renato Codovini, prezioso ed impareggiabile ricercatore e custode della nostra storia.

L’originario presidio militare si è sviluppato nel tempo lungo Via Alberti, dove sono rimaste tracce attribuibili ad una presenza longobarda.

Alla fine del primo millennio Fratta era uno tra i numerosi insediamenti presenti nei domini dei Marchesi di Toscana, i quali ne assegnarono il possesso ai “figli di Uberto”. È probabile che questi padroni, trovato il presidio in uno stato di forte degrado, si siano preoccupati di vitalizzarlo e potenziarlo. Durante la loro presenza probabilmente fu costruito un sistema d’accesso al fortilizio in corrispondenza della Piaggiola e sorsero altre costruzioni per i padroni e la loro corte.

L’ultimo decennio del XII secolo ed i primi di quello successivo rappresentarono un momento decisivo di svolta radicale per il destino di Fratta. L’Europa stava vivendo la crisi del feudalesimo, caratterizzata da incessante conflittualità, estesa ad ogni livello, fino a coinvolgere i più piccoli signorotti dirimpettai del momento. Queste tensioni determinarono un clima di instabilità e di incertezza che spinse i padroncini a buttarsi nelle braccia più sicure del più forte tra i padroni vicini, in una specie di federalismo con sottomissione, ben diverso da quello nordista che l’egoismo sociale diffonderà negli incolti smemorati della fine del XX secolo.

A loro volta, gli abitanti sparsi per le campagne cercarono all’interno dei luoghi fortificati una sicurezza sempre più minacciata, innescando il processo inarrestabile dell’“incastellamento”. La pluralità di soggetti che si trovarono a convivere all’interno delle città avviò un primo accenno di democratizzazione nella gestione della cosa pubblica, seppure limitato al coinvolgimento delle sole fasce sociali “economicamente capaci”, eufemismo per giustificare in modo apparentemente logico le discriminazioni di censo. Cominciarono a formarsi i primi Comuni.

Come la maggior parte degli altri insediamenti già sviluppati nell’area, anche Fratta si sottomise a Perugia - nel 1189 - e ne diventò punto fondamentale di difesa rispetto ai territori a nord, ribaltando il precedente ruolo, strategicamente debole, di presidio all’estremo limite sud del Marchesato di Toscana, al confine con il Ducato di Spoleto. Da quel momento, l’isolotto esercitò una fortissima attrazione sull’interesse di Perugia, smaniosa di consolidare un suo spazio vitale fra i grandi poteri del momento nel Centro Italia, alla ricerca di una propria crescita come Comune, capitalizzando il vantaggio dell’equidistanza da Firenze e da Roma: è ragionevole ritenere che queste condizioni abbiano determinato un ingente flusso di risorse finanziarie e di capacità tecniche, militari ed organizzative, che in pochi decenni trasformarono il fortilizio dei Figli di Uberto in una fortezza inespugnabile. Grazie, Perugia! Un imponente sistema difensivo si strutturò all’esterno di Fratta: il ponte sul Tevere, le mura di cinta ed una ciclopica diga che potesse abbracciarle con il suo invaso. All’interno delle mura sorsero bastioni, torrioni e cunicoli sotterranei, che resero davvero ardua la conquista della fortezza. Difatti, siamo diventati irraggiungibili, in tutti i sensi!

Da quel momento, non ci sono più angoli sconosciuti nella storia del castello, grazie alla luce piena proiettata dai tre pregevoli volumi di Renato Codovini e Roberto Sciurpa.

 

 NB

La coincidenza della vecchia torre con la platea del teatro sembra quasi simboleggiare una predestinazione del luogo come fulcro della comunità di Fratta.

(Mario Tosti)